Il mattino del 22 gennaio 2009 ingenti forze di polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia locale e tecnici della A2A, bloccano tutte le vie di accesso al centro sociale di via Conchetta 18 e procedono allo sgombero forzoso dello stesso . Amministratori comunali, questore e prefetto si rimpallano la responsabilità dell’operazione. Il Pubblico Ministero sostiene di essere stato avvisato a giochi fatti. Poco importa. Tutti, invece, concordano che l’importanza dell’operazione è che il Comune Milano non perda il valore dell’area. Si tratta di una questione “patrimoniale”.
A nulla valgono le rimostranze avanzate dagli occupanti su quest’azione subdola, infima, non giustificata da alcun atto amministrativo o giudiziario. Nella città della legge, dell’ordine e della disciplina, che vuole garantire privilegi e profitti di pochi, sfruttando e saccheggiando risorse e abitanti, lo sgombero, frutto di un paradosso generato da un delirio securitario, non tiene neanche conto di una vertenza in sede civile ancora in corso tra il Centro Sociale e il Comune di Milano. Ma non solo.
Dietro la maschera della “legalità”, il potere vuole cancellare uno spazio vivo e attivo da 33 anni, parte integrante e ormai storica di un quartiere popolare come il Ticinese, punto di incrocio di cultura, controcultura, informazione, controinformazione, per la città e a livello nazionale ed europeo. Un luogo nel quale tutti hanno sempre trovato spazio, idee, confronto, scambio, stimoli.
Una storia ben presente nelle voci e nelle azioni di solidarietà successive allo sgombero. Come conferma uno dei tanti messaggi di solidarietà arrivati in quei giorni, Conchetta è sempre stato un luogo di aggregazione e discussione per migliaia di giovani e meno giovani con centinaia di iniziative culturali, musicali, teatrali, occasioni di incontro, approdo per un desiderio negato dalla Milano dell’efficienza, dell’apparenza, della speculazione.
“Nei cortili di Conchetta ho stretto la mano ad Hakim Bey e Bruce Sterling, ho discusso di reti alternative e tifo calcistico, ho incontrato alcuni dei miei migliori amici, e soprattutto, ho passato lunghe serate con Primo Moroni, uno degli intellettuali più raffinati che Milano abbia mai prodotto. Primo, che spostò all’inizio degli anni ’90 la sua libreria Calusca proprio lì, libreria che, dopo la sua morte, ha continuato la sua attività, cui si è aggiunto l’indispensabile lavoro di archivio e documentazione di materiali, spesso unici, dell’Archivio Primo Moroni. Primo, cui la città di Milano deve moltissimo, ma del quale, invece, oggi si sta cercando di cancellare anche la memoria.” Questa è una delle migliaia di voci che si sono alzate in difesa di Cox18. La risposta della città è stata tempestiva, in breve si è alzato il grido di coloro che hanno testimoniato generosamente e coraggiosamente contro lo sgombero di Cox18: una ferita per la città.
Nel 1989 il centro sociale Cox18 venne sgomberato per ben due volte, quello del 2009 è il terzo sgombero. Proprio come nell’89, l’ondata di solidarietà e di mobilitazioni espressa dai più diversi settori della società, ha portato il 13 febbraio 2009 alla “liberazione” del centro sociale, piccolo per dimensioni ma grande per storia e incisività.
(prefazione da “Storia di un’ Autogestione“)
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On 22th January 2009 morning a huge amount of law enforcement agencies closed down every path to the via Conchetta 18 social centre (C.S.O.A. Cox 18) and evicted it. No municipal administrators, police commissioner or prefect were willing to take the responsibility for the action. The public prosecutor affirms that he had not been forewarned until the eviction took place. It doesn’t matter. Everybody agrees that the aim of the operation is to give back to the municipality of Milan the monetary value of the area. It’s a ‘patrimonial’ matter.
The occupants’ complaints about this act, sly and unjustified by any administrative or judicial document, were not taken in consideration. In the city of law, order and discipline, a city that guarantees the privileges and profits of a few exploiting and looting resources and people, the eviction, an outcome of a paradox born from a safety delusion, didn’t even consider a still on-going dispute between the social centre and the municipality of Milan in front of the administrative court. But that’s not all.
Hiding behind ‘legality’ the power wants to eliminate a lively and 33-year-old place, a historical part of the popular borough Ticinese, a crossroad of culture, counterculture, information and counter-information, for the city and on a national and European level. A place where everybody always have found room for their ideas, debate and inspiration.
A history well represented by the voices and actions of solidarity happened afterwards the eviction. As one of the numerous solidarity statement received in those days, Cox 18 has always been a place for sociality and debate for thousands of young and less young people, with hundreds of cultural initiatives, concerts, theatre events, meeting occasions, a haven for a desire denied by the Milan of efficiency, appearance and speculation.
‘In Cox 18’s yard I’ve been shaking hands with Hakim Bay and Bruce Sterling, I’ve been discussing about alternative networks and football support, I’ve met some of my best friends and, above all, I’ve spent many long nights with Primo Moroni, one of the most refined intellectual that Milan have ever produced. in the early 90s, Primo moved his bookshop ‘Calusca City Lights’ right there. After Primo’s death, the bookshop is still active and an archive entitled to Primo (Archivio Primo Moroni) began its work of cataloguing many and often very rare documents. Primo, to whom the city of Milan is much in debt, but whose memory somebody is trying to cancel instead.’ This is one of the thousands of voices that raised defending Cox 18. The answer of the city was prompt. Soon the shout of those who generously and courageously testified against the eviction of Cox 18 had risen: a wound for the city.
In 1989 Cox 18 was evicted twice, The 2009 eviction is the third. Just like in ’89, the solidarity and activity of the most diverse sectors of society brought to the ‘liberation’ of the social centre, small in dimension but big in history and incisiveness.
(Preface of Storia di un’ Autogestione)
25 LUGLIO 1976
NASCE il CENTRO SOCIALE al piano terrra di VIA CONCHETTA 18
Lo stabile di Via Conchetta 18 ha una vicenda di autogestione e di occupazione che risale al luglio 1976, in un periodo che in tutta la città’ e nel suo hinterland si sviluppavano le occupazioni che portano alla nascita dei circoli del proletariato giovanile.
Cosi’ il 26 luglio 1976 viene occupato lo stabile di via Conchetta 18. L’iniziativa parte da Antonio, militante del gruppo “Bandiera Nera” che coinvolge nell’iniziativa il Collegamento lavoratori libertari (che raccoglie lavoratori dell’Archifar, dell’Aeroporto, del Comune, del Policlinico, dell’Istituto dei ciechi e di altre aziende), il Collegamento lavoratori ospedalieri libertari (che negli anni successivi sarà al centro di numerose iniziative di lotta) e diverse individualità.
L’occupazione avvenne insieme a quella dello stabile abitativo di Via Torricelli. “L’idea dell’occupazione – dichiara Antonio ad A- rivista anarchica – è nata da due esigenze diverse: da un lato l’esigenza sacrosanta di alcune famiglie di avere una casa in cui abitare (in Via Torricelli) e dall’altro l’esigenza di alcuni gruppi anarchici della zona sud est di Milano di avere una sede in cui riunirsi e in cui portare avanti la loro attività (in Via Conchetta 18). Per soddisfare contemporaneamente queste due esigenze abbiamo scelto di occupare proprio questa casa di via Conchetta perché in essa c’era anche questo grande negozio formato da tre stanze che ci ha permesso di dare una sede politica ai gruppi della zona e di fare anche un centro sociale
Negli spazi di Via Conchetta si riuniscono quindi il Collettivo dei lavoratori ospedalieri libertari e il Coordinamento lavoratori libertari che più’ tardi e in sinergia con alcuni organismi consimili di altri settori lavorativi operanti nel’ occupazione di Via Correggio 18 – e molti altri sparsi sul territorio nazionale – daranno vita all’Usi (Unione sindacale italiana).
La radicale pratica anti-istituzionale e la diffidenza nei confronti dei precedenti e persistenti modelli organizzativi movimentasti ( per esempio l’Autonomia operaia organizzata) consenti’, qualche anno dopo, una forte e non sempre pacifica sinergia anche con il rigido e chiuso universo delle contro culture punk che andavano diffondendosi nella città’. Gli organismi di gestione di Via Conchetta avevano avuto sin dall’inizio concrete forme di collaborazione con il centro sociale di Via Correggio 18 a cui erano legati da affinnita’ elettive e da un modo comune di leggere i processi di ristrutturazione in atto nella metropoli milanse.
Nello Spazio sociale di Via Conchetta vengono realizzati un laboratorio psicosociale e un asilo autogestito e poi il motore dell’intervento territoriale diventerà’ il Comitato di lotta per la casa.
GIUGNO 1988
NASCE L’ESPERIENZA C.S.O.A. COX18
L’occupazione si allarga a tutto il numero civico 18 di Via Conchetta
Il Centro Sociale di via Conchetta 18, che nel corso degli anni ’80 (anche a seguito del trasferimento degli occupanti in case popolari) era a poco a poco sprofondato in una fase di semi inattività, si rivitalizza a partire dal 1987. il Comune decide di abbattere lo stabile e nella primavera del 1988 compaiono le ruspe, bloccate momentaneamente da un’azione legale intentata dai compagni. Nel frattempo però si sono liberati alcuni locali spaziosi, in precedenza in uso ad un ristorante. Questi locali vengono aperti nel corso dell’estate 1988 ed in brevissimo tempo si trasformano in uno dei più consistenti centri di aggregazione giovanile della città, con centinaia di persone che si ritrovano ogni sera. Cosi’ molti dei soggetti giovanili circolanti tra le Colonne di San Lorenzo e la Zona dei Navigli si riversano nel luogo occupato creando una singolare confusione organizzativa tra collettivo di gestione e frequentatori fluttuanti. Una confusione che e’ anche risorsa e ricchezza prolifera di iniziative a volte decisamente spettacolari:
– L’assalto al palco delle autorità’ e del sindaco socialista Pilitteri durante l’annuale e gigantesca Festa dei Navigli.Il palco posto ai bordi della Darsena e l’assalto fu fatto con dei canotti che issavano le bandiere nere dei pirati
– Il Ticinese viene decorato da decine di graffiti nei luoghi dove si ritiene sia rilevante conquistare visibilità’ e presenza creativa; come un muro al parco delle Basiliche, grande piazza dell’eroina
Alla fine degli anni 80 un lungo percorso di conflittualità’ urbana protesa alla ricerca di spazi dell’identità’ e del progetto vitale a fronte della società’ del segmento e dell’anomia, sembra assumere nuove frontiere e nuovi percorsi. Le varie anime di Cox18 subiscono continue accelerazioni e cambiamenti di prospettiva non senza conflitti interni che determinano abbandoni verso altri luoghi da inventare o verso altre progettualità’ territoriali. Rimane invece la componente sindacale libertaria, una parte della composizione legata all’esperienza Virus e l’area legata alla sperimentazione cyber punk che consolida una straordinaria iniziativa che e’ la realizzazione pratica del progetto di uso sociale trasgressivo e comunitario delle nuove tecnologie informatiche
Lo stabile viene dichiarato pericolante e sgomberato
19 GENNAIO 1989
SGOMBERO IN FORZE DELLO STABILE
Lo stabile viene dichiarato pericolante e sgomberato violentemente con gran dispiego di forze di polizia.
“Era l’inizio del 1989. Arrivammo al mattino, quand’era gia’ presente moltissima; nel centro quasi nessuno…
Il Colletivo di gestione aspetto’ che le forze dell’ordine se ne andassero e poi rientro’.
I soffitti erano stati distrutti e si contavano molte altre devastazioni….”
“…Gli occupanti del Conchetta presero allora una sarracinesca ricoperta di graffiti e, muovendosi in corteo da San Gottardo a Piazza Duomo, le portarono nell’ufficio di Fabio Treves, assessore con delega ai Problemi dei Giovani…”
“…L’ufficio venne trasformato in discoteca e inizio’ una festa, cui furono invitate le studentesse della sottostante Berlitz School, mentre le carte e gli arredi dell’ufficio planavano in Galleria Vittorio Emanuele…”
MARZO 1989
Il C.S.O.A. COX18 si insedia nell’ ex casello di Porta Genova
NASCE L’ESPERIENZA “DELL’ACQUARIO”
Incendio dell’Acquario – 23/04/92
APRILE 1989
La giunta comunale delibera la restituzione dello stabile al Collettivo di Gestione, si impegna alla ristrutturazione e demolisce i 3 piani di abitazioni.
Manifesto – 20/01/89
30 SETTEMBRE 1989
I lavori vengono abbandonati. Il collettivo entra nello stabile, rivendica il proprio diritto e si organizza per terminare la ristrutturazione. Lo stesso giorno arriva lo sgombero dello Spazio.
SERVIZI TG RAI e TELENOVA:
2 OTTOBRE 1989
il Collettivo del CSOA COX18 entra nello stabile e termina a sue spese i lavori di ristrutturazione.
DALL’ANNO 1992
una serie di iniziative hanno dimostratore partendo da un luogo e’ possibile tessere una rete di rapporti sociali con altre realtà’ politiche e culturali collaborando indistintamente con grandi e piccole case editrici, con altre realtà’ sociali e prestigiosi intellettuali. Realizzando, quindi, un perdorso di “luogo aperto” che comunicasse con la città’, senza nessuna paura delle contaminazioni perche’ le differenze diventino ricchezza senza elidersi a vicenda cambiando progressivamente gli universi vitali di ciascuno. Vengono cosi’ realizzate iniziative come Piazza Virtuale e La teppa all’Assalto del cielo
FEBBRAIO 1992
Tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92 furono fatti i lavori in uno spazio del CSOA COX18 di Via Conchetta 18 per accogliere La Calusca e i suoi Archivi
Nel Febbraio del ’92 Primo Moroni innaugura LA LIBRERIA CALUSCA CITY-LIGHT
Interviste
Intervista a Primo Moroni
NEL GENNAIO 1993
ci fu un’ interruzione delle attività’ per effettuare importanti lavori di restauro sia nei locali che nel cortile
NEL 1994
PRIMO MORONI inizia a dare forma a quello che sarà l’Archivio a lui intitolato
NEL 1998
Ristrutturazione dell’intero stabile di Via Conchetta 18 a spese del Collettivo di Gestione
GIUGNO 2008
La giunta comunale di Letizia Moratti avvia una causa civile contro l’Associazione COX18 – MILANO 2000
notizia 0
T.G.M.
Notizia n. 0, Milano, 31.07.2008
Articoli di stampa di qualche giorno fa, ricalcando schemi già noti, hanno annunciato l’ennesima “estate calda dei centri sociali”, per i quali “si avvicina l’ora X di sfratti e sgomberi”.
In merito, possiamo confermare che la giunta comunale, con delibera del 20.06.2008, ha dato mandato ai suoi avvocati di avviare le pratiche per ottenere il rilascio dello stabile di via Conchetta 18.
Con questa nostra prima “notizia” riconosciamo pubblicamente che il CSOA Cox 18 ha commesso tre errori, imperdonabili per questa giunta di fascisti, xenofobi, voltagabbana e affaristi.
Da quando è nato, il Centro ha sempre svolto iniziative libere dai vincoli del denaro e dalla spettrale ideologia del “vincente”. È cioè un luogo in cui le attività scaturiscono da una pratica di autogestione, svincolata da ogni “cordata” paraistituzionale. Le sue scelte non sono dipese mai da quella logica utilitaristica che è andata sempre più impregnando i pori e gli alveoli di questa città, fino ad asfissiarla. Sia che si trattasse di un concerto, di un dibattito politico, di una iniziativa di solidarietà, di un film e di quant’altro è stato qui fatto. Ieri, oggi, domani.
Il Centro è cresciuto mantenendo vivo un legame con la memoria, cosa rara e di per sé trasgressiva in questi tempi che vanno controcorrente. Ha ospitato con reciproco affetto, comprensione e pazienza la libreria Calusca di Primo Moroni; e di quella esperienza conserva il mestiere, la Calusca City Lights e un Archivio unico in Italia. Da sempre, ha dato spazio a momenti di discussione e confronto che tenessero accese le “Luci di questa città”.
Infine, il terzo, è un errore di leggerezza. Il Centro si è collocato da subito in un luogo improprio. Un quartiere d’illustre storia, già proletario e malavitoso, “fiammeggiante di bandiere rosse e rossonere”, prima d’essere ricondotto a ragione (mercantile) e abbassarsi a luogo pittoresco pieno di locali in cui si “vendono vino e panini senza amore e senza memoria”, come scriveva lo stesso Primo. Dove, se va bene, i residenti storici che ancora sopravvivono prendono 500 euro al mese di pensione, quando le immobiliari valutano più di 5.000 euro a metro quadro il prezzo degli appartamenti. Mentre, a cento metri di distanza, via Tibaldi segna la nuova demarcazione con l’altro, il diverso, lo straniero.
Che la giunta delle retate contro i “clandestini”, delle cartolarizzazioni sfrenate, dell’EXPO, del “disastro dei derivati” e della chiusura di ogni spazio sociale riservi anche a noi le sue moleste attenzioni non ci stupisce né ci spaventa.
Quest’estate, come sempre, il Centro sarà aperto. Gira la mola dell’arrotino, e il vento fa il suo giro.
Agosto 2008
22 GENNAIO 2009
Sgomberato l’intero stabile di Via Conchetta 18, VENGONO SALDATE LE PORTE del:
C.S.O.A. COX18, LIBRERIA CALUSCA, ARCHIVIO PRIMO MORONI
Interviste realizzate da Current TV sullo sgombero del centro sociale a Riccardo De Corato (vice sindaco), Gia Valerio Lombardi (Prefetto), Carlo Fidanza (capogruppo AN Comune Milano) . Tratta dal video realizzato da Carrent TV
Video Current TV sullo sgombero di Cox18 nel 2009
Inetrvista a Riccardo De Corato tratta dal video “Milano Paranoica”
Presidio in Piazza della Scala daventi a Palazzo Marino in seguito allo sgombero
Parla un consigliere Comunale delegato Basilio Rizzo:
23 GENNAIO 2009
Presidio e volantinaggio in Porta Genova
24 GENNAIO 2009
Un corteo di oltre 10.000 persone attraversa il centro della città
26 GENNAIO 2009
Presidio a Palazzo Marino, contro lo sgombero.
Ci hanno chiuso il centro sociale, e noi le nostre iniziative le facciamo in piazza:
– Riapre la libreria Calusca: banchetto di libri, riviste, autoproduzioni
– Teatro e musica con:
Walter Leonardi, Chinaski, Flavio Pirini, Folco Orselli, Cesare Basile, Angelo Pisani, Lucia Vasini, Paolo Rossi
27 GENNAIO 2009
Comunicato stampa:
Oggi abbiamo appreso dalla stampa che il sindaco Letizia Moratti avrebbe intenzione di occuparsi dei
materiali dell’Archivio Primo Moroni e che vorrebbe addirittura spostarli in una non meglio
identificata sede del Comune di Milano.
Se questa giunta avesse avuto minimamente a cuore l’Archivio Primo Moroni non avrebbe mandato
ingenti forze di polizia e militarizzato un intero quartiere per sgomberare il centro sociale Cox 18,
cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione sociale dei
materiali dell’Archivio e della Calusca City Lights.
Se a muoverla fosse stato qualcosa di diverso da una volontà di mostrare i muscoli la cui protervia è
pari solo all’ignoranza e all’avidità già dimostrate in troppe altre occasioni, avrebbe invece rispettato
la loro collocazione nel luogo in cui Primo aveva deciso dovessero stare.
Ribadiamo quindi che per noi familiari la sede naturale dell’Archivio Primo Moroni è il centro sociale
di via Conchetta 18 e che se questa amministrazione s’illude di fare diversamente incontrerà la nostra
più ferma opposizione.
Cox 18, l’Archivio Primo Moroni e Calusca City Lights sono affasciati e difesi da quella solidarietà
attiva che si è espressa durante tutti questi giorni.
Non si toccano.
Familiari di Primo Moroni
01 FEBBRAIO 2009
Mercatino Prodotti Biologici, Libri e Autoproduzioni
13 FEBBRAIO 2009
Il tribunale di Milano rigetta il ricorso inoltrato dell’Associazione COX18 MILANO 2000
13 FEBBRAIO 2009
Il Collettivo COX18 – LIBRERIA CALUCA – ARCHIVIO PRIMO MORONI sostenuti da collettivi e molteplici soggettività urbane entrano in via Conchetta 18, ripristinano gli impianti e riprendono le attività in TOTALE AUTOGESTIONE
Punkreas – Cox18
19 FEBBRAIO 2009
Il Centro Sociale Cox18, la Libreria Calusca e l’Archivio Primo Moroni indicono una conferenza stampa nei locali del centro di Via Conchetta 18
Temi all’ordine del giorno:
1) Le motivazione del rientro.
2) Sentenza relativa al nostro ricorso presso il Tribunale di Milano
3) Comunicazioni sulla ripresa delle nostre attività culturali
e sulla manifestazione nazionale a difesa di tutti gli spazi autogestiti in città per sabato 28 febbraio 2009.
28 FEBBRAIO 2009
Oltre 10.000 persone partecipano a un Corteo nazionale in sostegno degli Spazi Autogestiti
Le mani moleste della Proprietà e del Controllo sono in grande attività:
Trasformano la salute in un affare per imprenditori
Ci raccontano che la migliore cura è l’espulsione
Cancellano l’edilizia popolare e trasformano in merce i bisogni
Negano i diritti, la solidarietà
Per salvaguardare i loro loschi affari ingabbiano la cultura, cacciano le persone, cancellano la storia
In città ridotte a macchine per fare soldi, vogliamo liberare spazi, luoghi in cui stare e tempi da attraversare
Con la forza dei nostri desideri e con le armi della solidarietà vogliamo sconfiggere l’ossessione di controllo di chi nega il diritto all’esistenza e l’avidità di chi trasforma la conoscenza in un lusso
Per la salvaguardia e l’ampliamento dei diritti, contro la meschinità del razzismo di governo e contro la cementificazione delle città e delle menti
24 Giugno 2009
Udienza causa civile
AUGH!!
Nella mattina del 24 giugno 2009 si è tenuta la terza udienza della causa civile intentata dal Comune di Milano contro il CSOA COX18 e nei confronti di due persone, per rientrare in possesso (…leggi speculazione..) dello stabile occupato dal Centro Sociale in Via Conchetta,18.
Mentre all’esterno del tribunale si teneva un presidio di alcune decine di soggetti solidali con COX18- LIBRERIA CALUSCA- ARCHIVIO PRIMO MORONI, il giudice decideva di ammettere all’udienza solo gli avvocati delle parti, lasciando inspiegabilmente fuori dall’aula il pubblico ma soprattutto le persone citate nel procedimento (..!?)
In breve tempo il giudice ha acquisito gli atti e la relativa richiesta di citazione dei testimoni, consegnati ormai da tempo dagli avvocati del Centro così come dagli avvocati del Comune.
I nostri avvocati hanno inoltre fatto presente al giudice che, nonostante le numerose richieste formali e la perfetta regolarità nel pagamento del consumo, al Centro Sociale non è ancora stata riattivata la fornitura del gas.
L’udienza è terminata con il giudice che si è riservato di decidere nei prossimi giorni se e quanti testimoni convocare e, quindi fissare la data per la prossima udienza. Al momento quindi non sappiamo ancora quali saranno i tempi e le decisioni del giudice ma sarà nostra premura informare su qualunque sviluppo.
Rivendichiamo con fermissima determinazione il diritto a rimanere nella storica sede del Centro Sociale che viviamo (e manteniamo in ottimo stato) fin dal 1976.
A margine di quanto accaduto va sottolineato il notevole dispiegamento delle forze di polizia e carabinieri dentro e fuori il palazzo di giustizia nonostante l’assoluta assenza di tensione.
Tranquilli..
…i cortei e le manifestazioni con 10.000 persone li riserviamo per occasioni migliori…e la qualità delle cene, nonostante lo scomodo uso di bombole, rimane di eccellente livello…
Il presidio permanente in COX18 continua giorno e notte.
AUGH AUGH..!!
24 giugno 2009 – dalle 9.00
Presidio davanti al tribunale di Milano
Settembre 2009
riccardo rosica
Stamattina si è conclusa la surreale vicenda (di cui pubblicheremo per intero gli atti) che ha visto il centro socale cox18 denunciare la A2a per aver quest’ultima in occasione dello sgombero del 22 gennaio 09 interrotto l’erogazione del gas ed asportato il contatore medesimo.
la prima sentenza del 20 agosto:
Visto l’art. 700 cpc il Tribunale ordina alla A2a spa il ripristino della fornitura gas allo stabile sito in Milano via Conchetta 18 ed il conseguente riallaccio del contatore. Condanna la A2a energia spa a rimborsare le spese di lite in euro 500 più euro 1.000 (mille) al centro sociale ricorrente.
Non contenta del primo “ceffone” la A2a ricorre contro la sentenza e quindi il:
15 settembre 09 il Tribunale conferma la condanna, e aggiunge un’ulteriore condanna ai sensi dell’art. 96,3 cpc, a pagare un altro importo di euro 5.000 al centro sociale cox18.
15 Gennaio 2010
A PROPOSITO DELLE 51 DENUNCE
Milano, 15 gennaio 2010
A PROPOSITO DELLE 51 DENUNCE PERVENUTE A MILANO IN SEGUITO ALLE MANIFESTAZIONI CONTRO LO SGOMBERO DI COX18-CALUSCA-ARCHIVIO PRIMO MORONI DEL 22 GENNAIO 2009
L’illegittimo sgombero di COX18, Calusca e Archivio Primo Moroni, l’indecoroso scaricabarile tra
questura, comune e prefettura in merito alla responsabilità dello sgombero stesso, la palese ingiustizia che questo ha rappresentato per la memoria e le pratiche di una Milano viva e
disomogenea, hanno trovato nei giorni del 22, 24 gennaio e 28 febbraio 2009 una straordinaria
solidarietà da parte di tutte le aree antagoniste e di quelle migliaia di persone che hanno rivendicato una città con il bisogno di cultura, di iniziative sociali e politiche al di fuori delle logiche della speculazione.
E’ grazie a questa solidarietà che COX18, Calusca e Archivio Primo Moroni hanno potuto riprendersi lo spazio di via Conchetta.
Nessuna trascrizione giudiziaria, in atto o futura, di quelle giornate puo’ cancellare quella solidarietà che per noi rimane, allora come oggi, essenziale punto di riferimento del nostro agire politico e della nostra stessa esistenza.
La pratica di separare le azioni politiche dal loro contesto per considerarle semplicemente delle voci di una rubrica penale troverà sempre la nostra più ferma opposizione.
AGLI SPECULATORI IL PALAZZO – AI MOVIMENTI LE STRADE
COX18, Calusca, Archivio Primo Moroni
25 Maggio 2010
COX 18 NON SI LASCIA
Nel luglio 2008 il comune, facendo seguito ad una richiesta di rilascio dei locali, da mandato ai suoi avvocati di avviare le pratiche per ottenere il rilascio dello stabile di via Conchetta 18 attualmente occupato dal centro sociale cox 18. Conchetta replica che ha oramai acquisito la proprietà dell’immobile ex artt. 922 e 1158 c.c., avendo avuto la pacifica detenzione dell’immobile per oltre venti anni.
Dall’occupazione originaria del 1976 sono passati piu’ di 30 anni, intervallati da due sgomberi costellati di una miriade di iniziative di ogni genere che col tempo tessono una fitta rete di relazioni nel territorio e nella città. Dal 1992 il centro ospita la libreria Calusca di Primo Moroni e dal 2002 è sede dell’Archivio Primo Moroni che raccoglie il materiale lasciato dallo stesso Primo, da Carlo Cuomo, da Sergio Spazzali e recentemente arricchitosi del lascito dei familiari di Roberto Volponi.
La città si trasforma e con esso il tessuto sociale. Il ticinese, un quartiere d’illustre storia, già proletario e malavitoso, “fiammeggiante di bandiere rosse e rossonere”, viene lentamente ricondotto a ragione (mercantile) e diviene per lo più un luogo pittoresco pieno di locali in cui si “vendono vino e panini senza amore e senza memoria”, come scriveva lo stesso Primo.
Nel frattempo il comune, con la giunta Moratti, persegue il piano di dismissione del patrimonio pubblico, sia in termini di servizi che in termini di beni, lavora ad un primo bando che riguarda la cessione a privati di 70 stabili, portato a termine nel 2007, e quindi, ad un secondo bando per la vendita di 94 edifici tra cui Conchetta ma anche il circolo arci di via bellezza, il centro sociale Torchiera, il circolo anarchico Ponte della Ghisolfa e gli stessi uffici comunali di via Larga. Pur dichiarando di voler rendere alla città un suo patrimonio, in realtà il comune mette in mano alla speculazione edilizia quello che è stato sì un vero patrimonio di vite, relazioni, iniziative, dando libertà di espressione a chi altrimenti avrebbe difficilmente trovato uno spazio nell’ideologia del libero mercato.
Il 22 gennaio 2009, del tutto inaspettatamente, mentre la causa civile con il comune era ancora in corso, il centro viene sgomberato manu militari da un ingente numero di forze dell’ordine che arrivano a isolare il quartiere per quasi una settimana.
Il comune sosterrà di non avere chiesto l’intervento della forza pubblica, la magistratura dirà lo stesso, e a tutt’oggi non è noto chi ha emesso il provvedimento che giustifica l’intera operazione.
La città si mobilita e per diversi giorni si svolgono iniziative a difesa del centro che culminano con una grandissima manifestazione il 24 gennaio.
Meno di un mese dopo, il 13 febbraio, il centro viene rioccupato o, per meglio dire, liberato dalle pesanti lastre d’acciaio poste come sigillo del portone e riprende cosi la sua attività.
Nel frattempo i locali di via Conchetta vengono stralciati dal bando di svendita insieme al bellezza a viale Monza (resta invece nel bando il Torchiera) e in sede di causa civile il centro rivendica il diritto all’usu capione dei locali.
Il 25 maggio 2010 è prevista l’ultima udienza in cui le parti consegneranno le loro argomentazioni conclusive. Il giudice concederà termini 60+20 giorni per memoria e replica: quindi emetterà la sentenza di primo grado. Dal punto di vista giuridico la faccenda ruota intorno alla ricostruzione della tempistica dell’occupazione e del diritto degli occupanti ad esercitare l’usu capione sui locali, dal punto di vista sostanziale si manifesta la volontà dell’amministrazione comunale di chiudere i luoghi che danno un servizio per trasformarli in luoghi che rendono denaro, venendo così meno all’utilità sociale bene comune.
Cox18 è rimasto uno dei pochi spazi della citta in cui si fa cultura e controcultura, storia e memoria, manifestazioni e autoproduzioni al di fuori dei binari della speculazione e del profitto.
04 Ottobre 2010
Notizia n. 2
COX18 RESISTE
Il 4 ottobre 2010, dopo soli quattro giorni dalla scadenza dei termini, con una celerità sospetta per un Paese famoso per i tempi della sua macchina giudiziaria, il Tribunale civile di Milano si è pronunciato in merito alla causa intentata dal Comune contro il centro sociale Cox 18.
Questa sentenza di primo grado, ma subito esecutiva, rigetta le rivendicazioni del centro sociale e lo condanna: “… all’immediato rilascio dell’immobile, libero da persone e/o cose, in favore del Comune di Milano.”
Pur intentando la via giudiziaria non ci siamo mai illusi che il risultato potesse per noi essere diverso da questo.
Questa sentenza per noi cambia poco.
Da quell’estate del ’76, insieme a tutti quelli che negli anni hanno animato lo spazio autogestito di via Conchetta 18, abbiamo rivendicato con la nostra pratica un orizzonte diverso, che si misura sui bisogni e i desideri e si fonda sulle risorse e la capacità di TUTTI; che concepisce la cosa pubblica come bene comune e non come strumento per fare quattrini.
Continueremo sulla nostra strada a fare quello che abbiamo fatto in trentaquattro anni di presenza viva nel quartiere Ticinese e nella città insieme a tutti i soggetti: gli studenti, gli operai, i detenuti, i rom, ai giovani e ai bambini; lo abbiamo fatto con i linguaggi della politica, della cultura, della musica, del teatro, del cinema e della controcultura costruendo e difendendo quelli che abbiamo chiamato gli spazi di alternativa culturale.
Il solo diritto di proprietà che rivendichiamo è quello di essere padroni della nostra storia e della nostra esistenza.
Qui siamo e qui resteremo.
Centro sociale occupato autogestito Cox 18
Calusca City Lights
Archivio Primo Moroni
01 Febbaio 2012
Lo scorso mercoledì 1 febbraio 2012 presso la corte d’appello del tribunale civile di Milano si è svolta l’ultima udienza del processo a carico dell’Associazione Cox18 Milano 2000 e al suo rappresentante legale nonchè membro del nostro Collettivo.
Di fatto si tratta della causa civile intentata dal comune di Milano, proprietario dello stabile in via Conchetta 18, a carico del C.S.O.A. COX18 per ottenere il rilascio dell’immobile che occupiamo dal 1976.
L’avvocato che rappresenta il comune ha richiesto al giudice un rinvio dichiarando la volontà di voler “parlare” con la controparte.
E’ stato concesso quindi un rinvio al 31 Ottobre 2012 sospendendo una sentenza già scritta.
Vedremo!
C.S.O.A. COX18 – LIBRERIA CALUSCA – ARCHIVIO PRIMO MORONI
31 Ottobre 2012
Mercoledì 31 ottobre 2012 il tribunale civile di Milano emetterà la sentenza conclusiva della causa, voluta dal Comune di Milano, per ottenere il rilascio dei locali che il centro sociale Cox 18, la Libreria Calusca City Lights e l’Archivio Primo Moroni occupano al civico 18 di via Conchetta.
In questi spazi, da trentasei anni, combattiamo isolamento, ignoranza e sfruttamento con la forza del desiderio e con le armi della passione. Lo facciamo secondo i princìpi della libera partecipazione, contro le leggi del mercato.
Questa lunga vicenda di autogestione è stata accompagnata da tre sgomberi seguiti da altrettante rioccupazioni
La tenacia con cui abbiamo fatto vivere Conchetta 18 in tutti questi anni, anche grazie alla solidarietà di molti abitanti del Ticinese e della città intera, ha impedito che questo posto venisse abbandonato al degrado, prima di essere dato in pasto alla speculazione, mostro vorace all’ombra d’ogni giunta
Questa tenacia non è certo venuta meno oggi
QUI SIAMO
E QUI
RESTEREMO!
http://cox18.noblogs.org – http://www.inventati.org/apm
31 Gennaio 2013
35 anni di occupazione
35 ANNI DI OCCUPAZIONE SENZA COMPORTARSI “UTI DOMINUS”, CIOÈ DA PROPRIETARI
Con passi lunghi e lesti l’italica giustizia prosegue il suo corso. Prima ancora di aver digerito il primo, con tempi svizzeri, eccoci servito, su un piatto d’argento, il secondo.
Il 31 gennaio 2013, a 90 giorni dall’ultima udienza, la Corte d’Appello del Tribunale civile di Milano emette amara sentenza rigettando le richieste del CSOA Cox18, Libreria Calusca e Archivio Primo Moroni in merito all’uso degli spazi situati in via Conchetta 18 a Milano.
In soldoni abbiamo perso.
La motivazione del tribunale è sintetica e chiara: non abbiamo diritto al luogo (di cui rivendicavamo l’uso capione). Non perché non siano passati più di 20 anni, non perché non esista continuità storica dei soggetti occupanti ma perché, durante tutto questo tempo, non ci siamo comportati “uti dominus” cioè come proprietari.
Cosa significhi comportarsi da proprietari la sentenza non lo dice, e restare nel dubbio quasi quasi non ci dispiace. Il giudice, però, fa tre esempi, per spiegare le ragioni che l’hanno indotto a decidere in tal senso, esempi che riteniamo offensivi per la storia di Cox18 e per il buonsenso di tutti.
La prima è una ragione d’uso: non avremmo infatti goduto “in modo conforme alle qualità e alla destinazione di esso [lo spazio in questione] (finalità eminentemente abitativa)”. Ossia non ci abbiamo abitato. Con questo il giudice pare ignorare il fatto che i locali occupati dal centro, un tempo, ospitavano un ristorante, spazio dove notoriamente ci si ciba ma non si abita, e che la parte abitativa (i tre piani superiori) furono abbattuti nel 1989 dal Comune di Milano, che provvide anche a trovare altra sistemazione agli abitanti.
La seconda è una ragione di inadeguatezza: non avremmo percepito “eventuali guadagni da esso derivanti”. Si parla di denaro, ovviamente, perché altrimenti di guadagni se ne potrebbero elencare tanti. In effetti è vero, denaro non ne abbiamo mai guadagnato; dobbiamo anche averlo scritto da qualche parte.
La terza è una ragione di trascuratezza: non avremmo curato la manutenzione ordinaria e straordinaria. Chi conosce come Cox18 era prima e come è oggi sa benissimo quanto tempo ed energie abbiamo messo nella manutenzione degli spazi, del centro e dell’area circostante, da ultimo il “Giardino Primo Moroni”. Chi non lo sa è perché non c’era o non si è voluto informare.
Eppure tutto questo era ampiamente documentato, ma nessuno si è preoccupato di leggere le carte che abbiamo fornito, di ascoltare i testimoni che abbiamo citato, lasciando così che la verità storica venisse appannata da un pre-giudizio giuridico.
Forse il vero proprietario di un giardino ci dorme dentro? O impone una tassa sui profumi che emana? E quello di un archivio mette forse a profitto commerciale la lettura di libri e riviste? O straordinariamente manutiene i locali? Proprio come avviene al parco Sempione o in Sormani…
Questo processo è stato intentato da una giunta comunale, quella presieduta da Letizia Moratti, e proseguita dalla giunta Pisapia, che si fa vanto di una politica sugli spazi di segno opposto, almeno a suo dire.
La sentenza, redatta ricorrendo ampiamente al “copia e incolla”, cita le motivazioni presentate dall’avvocatura del Comune: ebbene non emerge alcuna discontinuità, né di forma né di sostanza, tra le motivazioni della giunta di centrodestra e quelle della giunta di centrosinistra.
Oltre al danno la beffa. Il Comune, nella persona di Paolo Limonta, “delegato dal Sindaco alle relazioni con la città”, ha dichiarato: “Per quanto riguarda gli spazi vuoti, noi proponiamo di partecipare ai bandi di assegnazione. […] Ma i collettivi ci hanno risposto che non vogliono neanche discutere i bandi e il dialogo si ferma qua”. Ciò suona abbastanza ridicolo, in quanto noi ci siamo limitati en passant a richiamare il dato di fatto, evidente a tutti, che il nostro spazio non è vuoto, dal che consegue che quella delibera e quei bandi non ci riguardano. In quanto al dialogo, il Comune nel corso del procedimento ha chiesto una proroga al giudice per una trattativa da mettere in atto. è un anno che ci chiediamo cosa mai avesse in mente, avendo esso sempre mancato di informarcene.
Questa sentenza è intollerabile per chi come noi è abituato a ragionare sui fatti, e a combattere i privilegi. è intollerabile giuridicamente ma soprattutto politicamente, poiché si basa su giudizi relativi a supposti comportamenti o peggio ancora ad atteggiamenti e intenzioni, invece che sulla sostanza di quanto avviene nella realtà.
Ma non è finita qui. Digerito il secondo, impugneremo saldamente la forchettina in attesa del dolce.
Ricorreremo in Cassazione e, soprattutto, non smetteremo di essere noi stessi e di farlo in via Conchetta 18.
QUI SIAMO E QUI RESTEREMO!
CSOA Cox18, Libreria Calusca, Archivio Primo Moroni – 2 marzo 2013
Il 30 gennaio 2014
Inizia il processo a 10 soggetti urbani militabti per le giornate di solidarieta’ al C.S.O.A. Cox18 – Libreria Calusca – Archivio Primo Moroni
Giovedì 30 gennaio è iniziato presso il tribunale di Milano il processo ai compagni indagati per i cortei e le iniziative successive allo sgombero di COX18. Come collettivo, abbiamo deciso di essere presenti durante ogni udienza sotto il tribunale per rivendicare con forza che quelle giornate sono patrimonio di una intera città e che l’ennesimo tentativo di criminalizzazione dei singoli e della solidarietà portata alle lotte non può essere accettato.
Cox 18 – Calusca City Lights – Archivio Primo Moroni
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Il colore delle percezioni che nel tempo sfumano e non si ricordano più
Processo Cox18 – Resoconto dell’udienza del 27 febbraio 2014
Il 27 febbraio 2014 si è svolta la seconda udienza del processo che vede imputate una decina di persone per fatti accaduti il 22 e 24 gennaio 2014, in seguito allo sgombero del Centro sociale Cox18 di Milano.
A differenza di quanto annunciato al termine della prima udienza, il dibattimento si è svolto nella “Maxiaula” della prima Corte d’Assise, a porte aperte, ma all’imputato in carcere con l’accusa di “terrorismo” dal 9 dicembre. a seguito di una incruenta azione di sabotaggio No Tav. non è stato concesso di uscire dalla gabbia nella quale era rinchiuso. A motivazione di tale scelta, il giudice Raffaele Martorelli recita che «obiettive condizioni di sicurezza ne impediscono la presenza in aula»; poi però, grazie alla reiterata insistenza degli avvocati della difesa e solo negli ultimi minuti, è il capo della scorta di quattro agenti di polizia penitenziaria ad assumersi la responsabilità di farlo uscire dalla gabbia e di farlo sedere non tra gli altri imputati ma a fianco del suo avvocato difensore.
Le quattro testimonianze prodotte dall’accusa hanno riguardato soltanto i fatti del 24 gennaio 2009, per i quali ben cinque persone sono imputate per aver preso parte a un «tentativo di rapina» avvenuto in un negozio d’abbigliamento in via Torino.
Sul primo teste, brigadiere del nucleo informativo dei carabinieri di Milano, gli avvocati difensori avanzano subito un “sospetto di ambiguità”, essendo egli stato presente in aula durante la precedente udienza. Interpellato in proposito, il brigadiere conferma di essere “passato” in aula durante l’udienza del 30 gennaio, ma «solo per qualche minuto, per dire “una cosa” a un mio collega». I giudici della Corte non ravvisano in ciò elementi di irregolarità e quindi la testimonianza prosegue.
Il brigadiere, quel giorno, era di servizio in piazza Duomo, in un “contingente di riserva” che, una volta sfilato il corteo, vi si «accoda». È appunto dalla “coda” del corteo ch’egli notò un gruppo di 4-5 persone “staccarsi” dal corteo ed entrare nel negozio. Prontamente «si è fatto sulla soglia» dello stesso potendo notare altresì «una “persona di colore” portare via un ragazzo», ha «visto» uno degli imputati (che ha riconosciuto, alla lettera, perché «lo conosceva già») dire: «lascialo stare o spacchiamo tutto»; «in effetti», dopo quelle parole, si verifica nel negozio «una confusione tremenda»: «15-20 persone» si dànno ad «azioni» quali il ribaltamento di un bancone e l’abbattimento di alcuni manichini ed espositori; il brigadiere però non sa quali “danneggiamenti” tali azioni abbiano provocato, perché «c’era troppa confusione». Quanto ai riconoscimenti, indica uno degli imputati come colui che ha pronunciato la frase riferita in precedenza, ma «non può asserire» con sicurezza che ce ne fosse un altro, da lui precedentemente «riconosciuto» sulla base di «una percezione che ha avuto». Delle altre 15-20 persone presenti, dice di «non avere cognizione di causa su chi possano essere».
Uno degli avvocati della difesa gli chiede se ricordi che «il ragazzo» “trattenuto” dalla «persona di colore» fosse riuscito a scappare, e lui risponde di sì; se ricordi che lo stesso fosse uscito dal negozio “privo dei beni” che aveva cercato di rubare, e lui risponde che «non sa».
Il secondo teste è proprio la «persona di colore» più volte citata, quel giorno addetto alla sicurezza sia del negozio nel quale avvennero i “fatti” sia del negozio a fianco [quando si dice cumulo di mansioni!]. Allarmato dalla manifestazione in corso, fa abbassare la saracinesca di quest’ultimo, e si dirige verso il primo con l’intenzione di fare altrettanto, ma una volta giunto all’interno del locale «si accorge» che «alcune persone [non ricorda quante] già all’interno avevano preso della merce esposta»; cerca di trattenerne uno, «senza toccarlo», parandoglisi davanti per impedirgli di uscire. In quel momento sopraggiungono, dal di fuori, ancora altre persone, con fare minaccioso, e una di queste gli dice: «Lascialo andare o spacchiamo tutto il negozio». Su questi nuovi venuti, l’addetto alla sicurezza non ricorda molto altro se non che «erano in tanti», «tutti uomini», con una sola ragazza che «orientava le cose da fare».
Messo davanti alle fotografie per confermare i riconoscimenti da lui fatti “in sede d’indagine”, riesce a ricordare come “presente” nel negozio solo uno degli imputati, di cui gli è rimasto impresso che, a “fatti” ormai compiuti, aveva «riportato indietro» un espositore di occhiali da sole che, nel parapiglia, era finito chissà dove. Ad ogni modo, oggi, a distanza di cinque anni dai fatti, non si sente in grado di confermare i riconoscimenti. Quindi conferma quanto reso nel verbale, ma non riconosce le persone, ora imputate, ritratte in due fotografie del verbale stesso.
Il terzo teste è un’ex cassiera del negozio. Accortasi che, mentre il corteo sfilava in strada, «un ragazzo» era entrato nel negozio e aveva arraffato «tre-quattro giacche di pelle», aveva richiamato l’attenzione dell’addetto alla sicurezza. Questi aveva fermato il ragazzo, ma proprio in quel momento erano entrati nel negozio altri ragazzi «facendo casino», con «urla» e «correndo dappertutto». Si trattava di 3-4 ragazzi e una ragazza «sui 20-30 anni». Proprio quest’ultima, si era impossessata di un espositore di occhiali da sole (lo stesso che, anche a detta del precedente teste, sarebbe stato poi «riportato indietro» da uno degli imputati); di questa ragazza, l’ex cassiera, oggi, non ricorda nulla; all’epoca dei fatti le era «rimasto impresso» che «aveva i capelli rossi», come recita il verbale. Conferma di aver sentito la frase «spacchiamo tutto», ma non riconosce la persona che l’ha proferita.
Scorrendo le fotografie per i riconoscimenti, l’ex cassiera non ricorda nessuno degli individui ritratti; solo di fronte a una foto, che ritrae una persona che non è tra gli imputati del processo, dice che è «un volto che le dice qualcosa», e niente di più. Non riconosce nessuno tra coloro che sono seduti al banco degli imputati.
Il quarto teste è un agente del nucleo informativo dei carabinieri che, al momento dei fatti, si trovava a 50 metri dal negozio e «arrivò sul posto» quando «la gente» ormai ne usciva con «tale violenza» che «ha dovuto scansarsi»! In questa folla di persone («una trentina», “precisa” successivamente) che uscivano «con violenza» ha “riconosciuto” (in quanto persone a lui già note) tre degli imputati, ma non ha visto quel che «avevano fatto dentro». Uno di essi, poi aveva «fatto una scritta» sul muro esterno del negozio con della vernice spry. L’agente non entrò nel negozio, ma continuò a seguire il corteo e, successivamente, quando i manifestanti giunsero all’angolo tra corso Genova e viale Papiniano, notò lo stesso imputato autore della scritta nell’atto di “incendiare” «un cestino dei rifiuti».
Al termine di questa testimonianza, il pm Alessandro Gobbis rinuncia a sentire tutti gli altri testimoni d’accusa.
La prossima udienza, nel corso della quale sfileranno i testimoni della difesa, si terrà il 27 marzo, alle ore 9.
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Amare mondanità
Processo Cox18 – Resoconto dell’udienza del 30 gennaio 2014
Il 30 gennaio 2014 si è svolta la prima udienza del processo che vede imputate una decina di persone per fatti accaduti il 22 e 24 gennaio 2014, in seguito allo sgombero del Centro sociale Cox18 di Milano.
Essa si è caratterizzata per l’ampia affluenza di pubblico, accorso, oltre che per solidarizzare con gli accusati, perché l’udienza dava occasione di “reincontrare” o quanto meno rivedere e salutare uno degli imputati, Mattia, che dal 9 dicembre scorso è in carcere con l’accusa di “terrorismo” a seguito di una incruenta azione di sabotaggio No Tav.
Il clima dell’incontro tra i compagni convenuti nella piccola aula 6 della Sesta sezione collegiale penale del tribunale di Milano e il loro beneamato, giunto in aula qualche minuto prima della Corte scortato da quattro agenti penitenziari, è stato il migliore che le circostanze potessero permettere, considerando anche che l’imputato era chiuso in gabbia e poteva rivolgersi al pubblico solo sporgendosi tra una coltre di baschi azzurri. Una volta in aula, la Corte, appena scorto il folto pubblico e posta di fronte all’istanza degli avvocati difensori di fare uscire dalla gabbia l’imputato, ha anzitutto negato il permesso, generando così la protesta dei coimputati e del pubblico. In seguito a queste proteste, la Corte ha intimato lo sgombero dell’aula e, successivamente, la sospensione dell’udienza, aggiornandola alle ore 11, in un’aula più grande. E così ci si è trovati di fronte al paradosso per cui l’imputato agli arresti veniva finalmente ammesso a sedere al banco degli imputati nella “Maxiaula” della prima Corte d’Assise, dove il processo ha avuto inizio a porte chiuse (a norma dell’articolo 472 del codice di procedura penale)(1)!
Benché chiusa al pubblico, un folto drappello di agenti della Digos presente già dalla mattina ha potuto seguire l’udienza in tutte le sue fasi, interloquendo durante le pause in saluti e scambi di convenevoli con il pm Alessandro Gobbis.
In questa situazione si sono avvicendati i primi tre testi dell’accusa, nell’ordine un ispettore capo, un sovrintendente della Digos e un maresciallo dei Carabinieri.
Il primo, invitato dal pm a «descrivere la “situazione ambientale”» nella quale si svolsero i fatti, precisa di non aver partecipato direttamente alle operazioni di sgombero (condotte da un commissario), ma ai «servizi collaterali» e precisamente alla vigilanza «a medio raggio»; le operazioni di sgombero essendo iniziate «circa» alle 7-8 del mattino, la zona «isolata» col blocco delle vie d’accesso a opera di pattuglie di polizia e carabinieri, il suo incarico era quello di «vigilare» sulle «prevedibili reazioni» di una folla ben presto accorsa in solidarietà con il centro sociale sotto sgombero, e che «alle ore 9, “circa”», contava “circa” «100-150 persone».
Le «prevedibili reazioni» cominciano a essere messe in atto dapprima, alle «9-9,30, “circa”», quando un nutrito manipolo di presidianti «fa il giro» per trovarsi a «fronteggiare» un cordone dei carabinieri piazzato all’angolo fra via Troilo e via Conchetta; qui egli assiste ad alcune «intemperanze» e riconosce uno degli imputati, prima, nell’atto di tenere acceso un fumogeno e, successivamente, in quello di «sferrare alcuni pugni e calci» contro un automezzo dei carabinieri.
Dopo questo primo episodio d’«intemperanza», un ben più nutrito gruppo di 100-150 persone dà inizio a una serie di «azioni diversive», spostandosi in direzione della vicina circonvallazione ed effettuando un blocco stradale della durata di «“circa” tre quarti d’ora», fra le 11,45 e le 12,30.
Successivamente, continua l’ispettore capo, la «prevedibile reazione» si fa «meno stazionaria», spingendosi «come spesso accade» in un genere di «iniziative» volte allo scopo, dice, «di portarci in giro», passando per piazza XXIV Maggio, e poi per via Gorizia e via Vigevano, in direzione della stazione ferroviaria di Porta Genova. Non si capisce se in via Vigevano o in via Gorizia, uno degli imputati, lo stesso del fumogeno, viene riconosciuto nell’atto di mettere di traverso alla strada un cartellone pubblicitario (che non risulta essere stato danneggiato dal transitorio cambio di destinazione), col chiaro obiettivo di «causare disagio».
L’ispettore non segnala «altri episodi d’“intemperanza”» fino a pomeriggio inoltrato, quando, in seguito al rifiuto del Sindaco di ricevere una delegazione delle centinaia di manifestanti ora riuniti in piazza della Scala, se ne verifica un altro, nel corso del quale uno degli imputatati viene riconosciuto nell’atto di rovesciare un cestino dei rifiuti e un gruppo di alcune decine di manifestanti blocca la circolazione in via Manzoni «per “circa” un’ora».
Su cotanta “serie” di «prevedibili reazioni», il pm chiede precisazioni circa i riconoscimenti, i tempi e la durata delle stesse. Alla domanda se il fumogeno sia stato solo acceso o anche “lanciato” in direzione del cordone di carabinieri, l’ispettore capo risponde di non ricordare; se fosse stato preso di sorpresa dal blocco stradale sulla circonvallazione, risponde di no, essendo tra le «prevedibili reazioni» a uno sgombero, «una priorità»; se il cartellone fosse stato «divelto» o semplicemente spostato precisa che il cartellone non può esser stato “divelto” perché non era fissato direttamente al terreno ma semplicemente fissato su di un basamento “tipo fioriera in ferro”, che era stato perciò semplicemente “adagiato” e tuttalpiù “fatto cadere” in posizione orizzontale sulla sede stradale.
Per parte sua, il primo degli avvocati difensori chiede all’ispettore capo se fosse a conoscenza dei motivi dello sgombero. Questi si dice convinto che ci fosse una querela da parte «della proprietà» cioè il Comune, e ignaro di una causa civile in corso tra gli occupanti e la proprietà al momento dello stesso.
Il secondo chiede precisazioni circa il grado di efficacia delle «prevedibili reazioni» sulle quali era chiamato a svolgere il suo «servizio collaterale» di vigilanza: se la zona era stata “isolata” fin dalle prime fasi dello sgombero, la circolazione stradale, nel «medio raggio» di sua competenza non era stata deviata, prima del blocco sulla circonvallazione? L’ispettore capo risponde di aver prontamente lui stesso disposto il blocco e la deviazione del traffico da parte di una squadra della polizia municipale, entrata in azione in viale Liguria «circa venti minuti dopo» (ma non può esserne certo) che il traffico sulla circonvallazione era stato interrotto.
L’avvocato chiede poi all’ispettore capo, se astrazion fatta per i menzionati episodi d’«intemperanza» (il “fumogeno” e i “colpi contro il blindato” di via Troilo delle ore 9, “circa”; il cartellone pubblicitario messo di traverso non si sa bene se in via Gorizia o in via Vigevano, “intorno alle 13”; il «bidone» o «cestino» di rifiuti rovesciato in piazza della Scala, non si sa bene a che ora, comunque “nel tardo pomeriggio”) gli imputati, nel corso dei blocchi stradali e dei cortei di quella giornata, avessero avuto comportamenti in qualche senso e misura diversi rispetto a quelli di tutte le altre decine o centinaia di persone che vi prendevano parte, risponde di no.
Il terzo avvocato torna sull’episodio d’«intemperanza» di via Troilo: stabilito che il blindato dei carabinieri non aveva subìto danni in seguito ai colpi inferti, chiede all’ispettore capo se aveva notato e se ricorda che il blindato era passato “tra” i manifestanti con una manovra del cui azzardo quei colpi dovevano allertare il conducente, ed egli risponde di «non averci fatto caso».
Il secondo teste di accusa, sovrintendente, nel giorno dello sgombero era stato incaricato di funzioni di “osservazione”: le “operazioni di sgombero” si erano svolte in maniera «tranquilla», finché non si era raccolto un grosso numero di persone, «tutte per la maggior parte “facenti capo” o “riconducibili”» alle note «realtà antagoniste» della città, nei pressi del centro sociale. Poi, «intorno alle 9,30 circa», un blocco composto di una settantina di persone “travisate”, cerca di forzare il blocco dei carabinieri in via Troilo. Una di loro, “non travisata”, accende un fumogeno. Il “fronteggiamento” persiste, «senza scontri», per dieci minuti, interrotto dal passaggio del blindato dei carabinieri. È in questo momento che esso è “fatto oggetto” di calci e pugni, da parte dell’imputato del fumogeno.
Dopo questo «episodio», le proteste adottano le «solite tecniche» di «risposta prevedibile» alle azioni di sgombero: «il blocco del traffico veicolare e dei mezzi pubblici» su viale Liguria, protrattosi per «più di mezz’ora-tre quarti d’ora», il tentativo di blocco in piazza XXIV Maggio (che precisa essere stato neutralizzato dal preventivo blocco-deviazione del traffico), le azioni di “spostamento” di cassonetti e cartelli stradali allo scopo di «creare disagi»; menziona poi come memorabile «la corsa» dei manifestanti in corteo per impedire che un cordone composto da lui stesso e da altri colleghi ne «prendesse la testa»; quando gli si fa notare che tale episodio (nel quale «non si sono registrati “scontri”») di applicazione delle «solite tecniche» di «risposta prevedibile» non è agli atti, e non è oggetto delle denuncie, ci resta quasi male. Il pm gli mette davanti i rapporti da lui redatti al tempo, e in uno sforzo sovrumano di memorabilia il sovrintendente si sovviene di… «una mazza» – passata non si sa bene perché e percome, in quel mentre, tra le mani di un imputato e caduta, com’era giusto e auspicabile, tra la disattenzione generale!
Nel suo controesame, il primo degli avvocati difensori accerta che il sovrintendente non era a conoscenza dei motivi dello sgombero, ma era a conoscenza del processo civile ancora in corso tra occupanti e Comune, pur non conoscendone i dettagli. Alla domanda, se sia stata la Digos a disporre lo sgombero risponde di no, alla domanda «chi decide, in questi casi», farfuglia un «la Questura coordinata al comando Digos», che lascia tutti un po’ perplessi.
Il secondo avvocato torna sui “fatti (!) di via Troilo”: il sovrintendente definisce quel “fronteggiamento” come «una situazione tesa ma tranquilla»; il blindato dei carabinieri passò poi “tra” i manifestanti e uno degli imputati lo colpì con «calci e pugni».
Con questa testimonianza si conclude, almeno per quest’udienza, il “racconto” dei «gravi fatti» del 22 gennaio, giorno dello sgombero; il terzo teste, infatti, maresciallo dei carabinieri, “riferisce” per la giornata del 24, allorché si trovò “di scorta” lungo tutto il suo percorso (ci tiene a precisare: «non autorizzato») al corteo di «circa 3 mila» persone che, partito in «maniera tranquilla» da piazza XXIV Maggio, s’era lasciato dietro, appena svoltato l’angolo di via Molino delle Armi, una lunga serie di danni vistosi: bancomat “danneggiati”, scritte sui muri e sulle vetrine, per non dire dei soliti bidoni di immondizia rovesciati e cartelli pubblicitari «strappati», e di «tante altre cose» che ora «non ricorda».
È il pm stesso a far notare al maresciallo che il terribile ma generico “scempio” arrecato al decoro urbano sul quale si sta dilungando con dovizia d’impressioni e interezioni non è agli atti del processo in fieri, che non lo menzionano affatto [viene il sospetto che il maresciallo si stia sovvenendo di una sua qualche altra esperienza, visto che tale scempio è molto maggiore di quanto risulta dai resoconti degli organi e delle agenzie d’informazione solitamente inclini a drammatizzare ogni scoppio – foss’anche di risa – definendolo, crediamo non senza autocompiacimento, “bombacarta”]: difatti, quanto alla giornata dal 24 gennaio 2009, ben cinque persone sono imputate di aver preso parte a un “ben specifico” tentativo di rapina avvenuto in un negozio d’abbigliamento in via Torino, almeno un paio d’ore dopo dalla partenza del corteo e dalla fatidica svolta di via Molino delle Armi. È invitato quindi a farla corta, per andare ai fatti importanti di cui fu testimone: secondo la sua testimonianza, «alcune persone dal corteo» erano entrate nel negozio per «dar manforte» a «un soggetto tenuto fermo da un addetto della security» (quindi più che una “tentata rapina” sembra uno “sventato taccheggio”). Il «soggetto» si era poi «volatilizzato», mentre quelle «altre persone provenienti dal corteo» si erano date ad azioni di «danneggiamento» del sistema antitaccheggio del negozio. Una, in particolare, si era poi spinta fino alle minacce nei confronti dell’“addetto alla sicurezza”.
Però, di tutti questi “gravi fatti” dei quali è testimone d’accusa, il maresciallo non è testimone oculare, giacché egli si trovava a «circa 15 metri» dalla porta del negozio, ov’era intento a «tenere sotto controllo un’altra situazione» della quale «preferisce non riferire» (ma nessuno si sognava di chiedergliene). «Dalla sua visuale» ha notato, fra le tante che uscirono dal negozio, tre persone che solo «in seguito a un confronto con “i colleghi di polizia”» poté riconoscere e indicare in altrettanti degli attuali imputati – e la «ricostruzione dei “gravi fatti”» di quel 24 gennaio in via Torino, dovrà essere perciò l’oggetto di una prossima udienza.
Essendo già le 14,30, ed essendoci state alcune pause di sospensione durante l’udienza, la Corte è già informata del fatto che, sui siti degli organi e delle agenzie di stampa, già si dà risalto a quanto accaduto in mattinata raccontando della «vera e propria protesta» [come se le proteste potessero essere false e/o improprie!] inscenata «da alcune decine di giovani antagonisti» durante «il processo a carico di dieci ragazzi [e ragazze!] imputati in relazione agli scontri (!) avvenuti nel gennaio del 2009, quando venne sgomberato lo storico centro sociale» («Il Giorno»). È evidente che il cronista qui sparla per sentito dire: se fosse stato in aula avrebbe ben sentito i poliziotti parlare non di «scontri», ma di situazioni «tese ma tranquille» mai salite al livello dello “scontro”, e inframmezzate da «episodi d’“intemperanza”» ben calati in un contesto di «prevedibili reazioni». Ma ecco che il clamore che la «vera e propria protesta» seguita al respingimento della richiesta della difesa perché «uno degli imputati potesse seguire il processo fuori dalla gabbia» ha sollevato grazie agli svarioni di addetti alla cronaca manifestamente all’oscuro dei fatti di cronaca come di quelli “storici” già costituisce, per il giudice Raffaele Martorelli, motivo di apprensione circa il corretto svolgimento e la tenuta del decoro istituzionale per le udienze future.
A conclusione di un’udienza iniziata all’insegna del paradosso di uno spostamento di sede del processo in un’aula più grande per una udienza a porte chiuse e conclusa con quello di una “testimonianza giurata” non oculare ma per sentito dire, la Corte e i difensori hanno discettato a lungo e piuttosto animatamente – perlomeno rispetto a un dibattimento che, come il lettore di questo resoconto avrà recepito, si è trascinato stancamente sul triste canovaccio della rilettura a voce alta di rapporti resi all’epoca dei “gravi fatti” – sulla “cornice” entro la quale debba svolgersi la prossima udienza, fissata per giovedì 27 febbraio 2014, alle 9,30: spiega il giudice presidente dalla Corte che quel giorno nessuna delle grandi aule del tribunale di Milano capaci di ricevere, al contempo, un’accolita di solidali così numerosa e un imputato che si trova agli arresti in attesa di un altro processo seduto al banco degli imputati e non in gabbia.
A tutta prima, gli sembra che l’unico modo per garantire che entrambe queste condizioni siano soddisfatte sia quello di tenere l’udienza in… un’aula-bunker, e non un’aula bunker qualsiasi bensì in quella di Ponte Lambro, che primeggia tra i purtroppo numerosi e squallidi siti consimili della città, per dirla senza ambage, come “il più inculato”!
Tanto basta ai giudici della Corte per venire a più miti consigli: l’udienza del 27 febbraio si terrà in tribunale. nella stessa aula 6 della sesta sezione penale collegiale già definita “insufficiente” a garantire il carattere “pubblico” del processo penale, con la richiesta [non si sa se rivolta agli avvocati difensori, agli imputati, o “al pubblico stesso” – che però non è presente perché si dibatte a porte chiuse…] di un impegno acciocché “il pubblico” assuma contegni accettabili.
Al termine di una tale serie di nonsense (non esente, lo si sarà capito, da momenti di comicità e punte di ridicolo) – che avrebbe meritato da parte dei cronachisti almeno uno dei loro peana circa i modi nei quali il sistema della giustizia sperperi mezzi, tempo e denaro dell’erario con accanimento e protervia da stalker – s’impone come una nota tristissima la vera notizia del giorno che raggiunge a seduta ormai tolta, l’imputato sotto scorta: i giudici di Torino hanno disposto ch’egli non rientri nel carcere delle Vallette, ma in quello di Alessandria.
Stessa sorte è toccata nel corso della giornata anche agli altri tre arrestati del 9 dicembre.
Nei giorni successivi, il processo che li riguarda è stato fissato per direttissima al 14 maggio prossimo.
Ed è amaro il presagio che, data la spropositata accusa che pesa sulle loro spalle, le udienze di questo strampalato processo milanese saranno, di qui ad allora, tra le poche occasioni di mondanità per uno di essi.
1. Art. 472 ccp – Casi in cui si procede a porte chiuse: 1. Il giudice dispone che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, se vi è richiesta dell’autorità competente, quando la pubblicità può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato. 2. Su richiesta dell’interessato, il giudice dispone che si proceda a porte chiuse all’assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni ovvero delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell’imputazione. Quando l’interessato è assente o estraneo al processo, il giudice provvede di ufficio. 3. Il giudice dispone altresì che il dibattimento o alcuni atti di esso si svolgano a porte chiuse quando la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene, quando avvengono da parte del pubblico manifestazioni che turbano il regolare svolgimento delle udienze ovvero quando è necessario salvaguardare la sicurezza di testimoni o di imputati. 3-bis. Il dibattimento relativo ai delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter e 609-octies del codice penale si svolge a porte aperte; tuttavia, la persona offesa può chiedere che si proceda a porte chiuse anche solo per una parte di esso. Si procede sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne. In tali procedimenti non sono ammesse domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto. 4. Il giudice può disporre che avvenga a porte chiuse l’esame dei minorenni.
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Fuori dal gabbione, finalmente!
Processo Cox18 – Resoconto dell’udienza del 29 aprile 2014
L’udienza del 27 marzo, che avevamo annunciato nel nostro secondo resoconto, fu sospesa causa l’assenza per motivi di salute di uno degli imputati. La successiva si è tenuta il 29 aprile scorso, ancora a porte aperte nella “Maxiaula” della prima Corte d’Assise e alla presenza, come di consueto, di un folto drappello di compagni e solidali.
L’istanza degli imputati di poter conferire con il coimputato custodito in carcere dal 9 dicembre, presente in aula sotto scorta e rinchiuso nel gabbione, è stata dapprima respinta dalla corte, con una motivazione secondo cui «la tutela dell’imputato non risulta sufficiente» e «non esiste un diritto come tale a conferire per gli imputati cui debba in questa sede darsi corso»; al che la difesa ha reagito appellandosi al comma c dell’articolo 178 del Codice di Procedura Penale, che prescrive, a pena di nullità, l’osservanza delle disposizioni in merito a «l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private»; uno dei difensori ha poi argomentato che, sebbene non esista per gli imputati un “diritto a conferire”, non esiste neppure un divieto in merito, e che pertanto, in caso di divieto, la Corte è tenuta a fornirne le motivazioni specifiche.
La Corte delibera quindi l’ammissione dell’imputato sotto scorta al banco degli imputati, al fianco del suo difensore.
L’udienza inizia quindi con l’esame degli imputati, a cominciare proprio dall’imputato detenuto nel carcere di Alessandria, che è appena stato fatto uscire dal gabbione.
– In merito al “capo a” della richiesta di rinvio a giudizio («interruzione o comunque turbamento della regolarità del funzionamento del servizio di trasporto pubblico […] tra le ore 18 e le ore 19 (del 22 gennaio 2009, Ndr) in via Manzoni angolo via Verdi», cioè in piazza della Scala, ove gli occupanti del Centro Sociale Conchetta e centinaia di solidali si erano riuniti in presidio) l’imputato risponde che, al momento del suo arrivo su quella piazza, il traffico era già stato bloccato «dalla gente che sostava sulla carreggiata».
– In merito al “capo d” («in concorso tra loro e con altre persone non identificate, dopo essersi impossessati di capi di abbigliamento di valore non potuto accertare, sottraendoli all’interno del negozio Pirulì Pirulà [nome di fantasia, NdR] di via Torino ed ai dipendenti che li detenevano, hanno usato violenza, cercando di colpirlo con pugni e calci, nei confronti di Tal de’ Tali [nome di fantasia, NdR]. Addetto alla sicurezza del negozio, e con minacce, gridando che, se tale addetto non avesse lasciato fuggire la persona che si era impossessata della merce, avrebbero spaccato tutto il negozio»), l’imputato ha spiegato che, passando in corteo davanti al negozio, la sua attenzione era stata richiamata dalle urla e da altri segni di concitazione, provenienti sia dal marciapiede sia dall’ingresso del negozio stesso. Approssimatosi, aveva subito visto il suddetto addetto alla sicurezza del negozio costringere e trascinare verso l’interno una persona, a lui sconosciuta, tenendola per il collo. L’imputato afferma di avere reagito «d’istinto» avendo valutato, dall’espressione sofferente dello sconosciuto, il pericolo costituito da quella presa per la sua incolumità, e di essersi rivolto risolutamente all’addetto alla sicurezza, inizialmente con un «ma che cazzo fai?», poi con un «lascialo andare o succede un casino!» ma proprio perché questi interrompesse quella sua azione – paventandone l’obiettiva pericolosità.
A quel punto, l’imputato, ormai trovandosi all’interno del negozio, verso il fondo del quale l’addetto alla sicurezza era indietreggiato, nota che altre persone presenti stavano protestando contro l’addetto alla sicurezza. Proprio in quel momento lui stesso era stato preso alle spalle, sollevato di peso, e trasportato fin fuori del negozio da un non identificato esponente delle forze dell’ordine di notevole stazza, che a tutta prima gli aveva detto, apostrofandolo chiaramente per cognome: «se ti ci metti anche tu qui finisce male». Una volta fuori dal negozio, egli non aveva cercato di rientrarvi, anche perché vedeva chiaramente che parecchie altre persone ne erano uscite di corsa, e tra loro lo sconosciuto, riuscito a sottrarsi alla presa dell’addetto alla sicurezza; rinfrancato si era riunito al corteo ancora in corso.
Alla domanda se abbia notato «qualcosa» (cioè merci esposte del negozio, Ndr) tra le mani dello sconosciuto, l’imputato dice che, nel primo momento, non vi aveva fatto caso; nel secondo, quando era ormai all’interno del negozio, aveva notato nettamente gli sforzi fatti dallo sconosciuto per divincolarsi dalla presa che l’addetto alla sicurezza gli teneva intorno al collo con il braccio, sforzi che si traducevano nell’aggrapparsi, con tutte le forze e con entrambe le mani, libere, al braccio del molto più di lui possente addetto alla sicurezza.
Il secondo esaminato, imputato solo in merito al “capo a”, riceve domande e risponde, in sostanza, solo in merito al “capo d” prima citato.
Ella si trovava «nella parte finale del corteo», appena prima del “cordone di chiusura”, insieme a due amiche, una delle quali imputata per il “capo d”. Aveva notato una certa concitazione attorno a un folto capannello. Non l’aveva associata affatto a qualcosa di accaduto dentro un qualche negozio, ma a un qualcosa che doveva essere accaduto in strada, forse sul marciapiedi, a seguito del fatto che una scritta che era stata tracciata sul muro.
Preoccupate soltanto dal fatto che il corteo proseguisse senza attendere che i manifestanti addensatisi in quel capannello vi si riunissero, le tre si erano date da fare: l’imputata in merito al “capo d” aveva «rincorso» il “penultimo cordone” del corteo perché desse seguito a un “passaparola” di arresto del corteo fino al primo in testa, come in breve avvenne ; le altre due si erano invece avvicinare alle persone assembrate in capannello, non tanto per chiedere spiegazioni, ma con esortazioni tipo: «Dài, non fermiamoci qui, riprendiamo a sfilare». Essendosi risolta prontamente la “situazione allarmante”, né lei né le altre due amiche avevano ripensato a quell’episodio, se non un anno dopo, quando due di loro avevano ricevuto la prima comunicazione di denuncia. Solo allora avevano appreso che quei capannelli e quegli assembramenti erano legati ai fatti di cui al “capo d”.
Un altro imputato per i fatti di cui al “capo d” non si sottopone all’esame, ma rilascia la dichiarazione spontanea di «non essere mai entrato» nel suddetto negozio.
Con questa dichiarazione si chiude l’esame degli imputati e possono avere inizio le testimonianze dei cinque testi della difesa, nell’ordine l’avvocato difensore del Centro Sociale nella causa civile con il Comune di Milano ch’era in corso quando ebbe luogo l’azione di sgombero; un giornalista inviato de «La Stampa», presente il 22 gennaio 2009 durante e dopo lo sgombero stesso, e fino alle 17 circa, ora nella quale era andato a farne la cronaca in redazione; un giovane scrittore e un esponente del Centro Sociale; una partecipante al corteo del 24 gennaio 2009.
Il primo teste, riferisce della causa civile in corso dal 2007 tra il Centro Sociale e il Comune; si trattava di una “causa di accertamento” del diritto di usucapione, mossa dagli occupanti, essendo i locali del Centro occupati fin dal 1976. Nel gennaio 2009 la vertenza era ancora in corso. L’avvocato si trovava in tribunale, e proprio nella stessa “maxiaula” in cui si svolge questo processo, la mattina del 22 gennaio, quando fu raggiunto dalla notizia dello sgombero in atto. Recatosi prontamente in loco, aveva potuto accertare che, nessuna richiesta di sgombero era stata avanzata, in sede giurisdizionale. Rivoltosi ai funzionari Digos, aveva constatato che non vi era stata nessuna disposizione da parte della Questura di Milano o della Procura della Repubblica. Quanto alle istanze politiche, il Comune non aveva mai fatto richiesta di sgombero; l’allora vicesindaco Riccardo De Corato lo aveva prima “rivendicato” e successivamente “ritrattato”, fino ad arrivare a querelare per diffamazione un articolista del quotidiano «il manifesto» che lo aveva indicato come il «mandante» dello sgombero.
Detto altrimenti, con le parole dell’avvocato teste, quella dello sgombero fu «una decisione senza madri né padri». Perciò c’è poco da stupirsi se la mattina dello sgombero, nei pressi del Centro si era formato un corteo di protesta che aveva attraversato dapprima il quartiere e le zone limitrofe ed era poi confluito in piazza della Scala, davanti a Palazzo Marino, quando era in corso la seduta del Consiglio comunale.
D’altra parte, sottolinea il teste, la rioccupazione dei locali del Centro era avvenuta 35 giorni dopo lo sgombero «senza scontri e senza tensioni».
Il giornalista inviato de «La Stampa» arrivò in via Conchetta nella tarda mattinata del 22 gennaio. Alla domanda se avesse capito le ragioni dello sgombero, risponde che i funzionari della Questura da lui interpellati in merito gli avevano riferito di un intervento prefettizio in merito. Prosegue poi nella descrizione dei fatti susseguitisi nel corso della giornata, dello spontaneo formarsi di un corteo «improvvisato e frammentato», ch’era andato crescendo con lo scorrere delle ore, fino ad assumere, nel pomeriggio, le dimensioni di una manifestazione di carattere cittadino: al presidio in piazza della Scala erano presenti diverse centinaia, e forse più di un migliaio, di manifestanti e solidali. A precisa domanda della Corte, precisa che tutte le manifestazioni della giornata ebbero un carattere «pacifico», che il presidio era stato accompagnato da lanci di petardi e dagli interventi di esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo che si erano susseguiti al microfono di un improvvisato “sound system” montato su un furgone.
Il giovane scrittore si presenta come un frequentatore-animatore del Centro fin dal 1982. Su richiesta della Corte si qualifica giustappunto come scrittore e editore. Quindi presenta il Cox come un centro sociale «storico», all’interno del quale, nel corso dei suoi oltre trentacinque anni di attività, si sono avvicendate e confrontate «varie generazioni». Ne descrive le attività politiche e culturali, e si sofferma sul carattere «semigratutito» di queste ultime.
Tanto il pm che la Corte, però, interrompono il suo discorso, vòlto a esaltare, in un quadro d’insieme, la ricchezza delle iniziative offerte dal Centro stesso, precisando che non il Centro e le sue attività costituiscono l’oggetto del processo in corso, ma i reati perpetratisi nei giorni 22 e 24 maggio 2009, dei quali la richiesta di rinvio a giudizio indica alcuni dei presunti responsabili.
Così incalzato, il teste, invitato a rispondere su quanto sa di quei due giorni, racconta di essere accorso in via Conchetta la mattina del 22 gennaio, e di esservi rimasto un paio d’ore, trovandovi un «situazione drammatica ma tranquilla». Successivamente, essendo stato designato come “addetto alla comunicazione” da parte del Centro in quel frangente, si era recato nel suo abituale luogo di lavoro, proprio per adempiere a questa funzione. Non ha quindi assistito al formarsi e allo svolgersi del corteo spontaneo nella mattinata ma era presente in piazza della Scala, nel pomeriggio; al presidio protrattosi per due ore avevano preso parte, a suo parere, «più di 500 persone».
Il 24 gennaio, durante la manifestazione, il teste si trovava tra le prime file di testa del corteo. Quando queste ultime erano ormai in fondo a via Torino, era stato chiamato, dal cordone del “servizio d’ordine” della “coda”. Tornato indietro, fino a trovarsi davanti al negozio sopra citato, aveva potuto constatare che il «trambusto» lì verificatosi, che gli era parso collegato a una scritta tracciata su un muro da un manifestante, si era ormai risolto. Davanti al negozio sostava ancora un folto gruppo di rappresentanti delle forze dell’ordine, tra i quali, a precisa domanda della Corte, risponde di non aver riconosciuto nessuno.
L’esponente del Centro Sociale, che su richiesta della Corte si qualifica come un lavoratore ospedaliero, e sottolinea come quella degli ospedalieri sia una componente importante dell’occupazione del centro sociale fin dai suoi inizi, è un suo frequentatore fin dal 1976. Volendo descrivere il tipo di attività svolte dal Centro nei decenni successivi, comincia a enumerarle, ricordando i concerti, le attività librarie ed editoriali della libreria Calusca e dell’Archivio Primo Moroni, il mercatino mensile di prodotti biologici. Anche sulla sua testimonianza il pm e la Corte premono, interrompendo anche agli avvocati della difesa nel corso della testimonianza, perché essa «si attenga» al procedimento penale in corso, che non vede imputato il Centro sociale e le sue attività.
Il teste obietta che, solo sulla base della lunga e articolata storia di quel luogo, si possono comprendere le reazioni a un’azione di sgombero avvenuta in assenza di alcun provvedimento formale che lo motivasse. I giudici della Corte si mostrano però molto incuriositi dal fatto che il Centro Sociale Cox18 si trovasse indicato tra i «luoghi raccomandati» sul sito Internet ufficiale del Comune di Milano.
Ad ogni modo, il teste non viene interrogato né in merito al “capo a” né in merito al “capo d” della richiesta di rinvio a giudizio, viene frettolosamente licenziato.
L’ultimo teste della difesa, è una manifestante del corteo del 24 gennaio 2009, e risponde in merito al “capo d”. Si tratta, per la precisione della terza componente del gruppetto che si trovava «nella parte finale del corteo», del quale ha parlato il secondo imputato esaminato. Nella sua testimonianza non fa che confermare quanto da questi dichiarato in precedenza.
La prossima udienza si terrà il 26 giugno, alle ore 9, nella stessa aula. In programma sono le arringhe del pm e degli avvocati difensori e, forse, il pronunciamento della sentenza.
Il 14 luglio 2014 presso il Tribunale di Milano si è tenuta l’ultima udienza del processo penale per “i fatti legati allo sgombero di Conchetta” con pronunciamento della sentenza di primo grado.
Le condanne sono state più miti di quanto chiesto dal PM, che era già meno di quanto i capi d’accusa facessero temere.
Nel Gennaio 2018
24 Gennaio 2018
– corriere della sera:
Milano, i giudici respingono il Cox 18. Lo spazio occupato è illegale
http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_gennaio_24/milano-giudici-respingono-cox-18-spazio-occupato-illegale-86d9d102-00cd-11e8-b515-cd75c32c6722.shtml
(articolo del 25/01/2018)
– il giorno:
La Cassazione: il centro sociale Conchetta è illegale
http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/centro-sociale-conchetta-1.3680555
– affariitaliani:
Centro sociale Conchetta: anche per la Cassazione è illegale e da sgombrare
http://www.affaritaliani.it/milano/centro-sociale-conchetta-anche-per-la-cassazione-illegale-da-sgombrare-520879.html
– lungavilla:
La Cassazione: il centro sociale Conchetta è illegale
https://lungavilla.virgilio.it/notizielocali/la_cassazione_il_centro_sociale_conchetta_illegale-54255705.html
– libero:
Milano, i giudici respingono il Cox 18. Lo spazio occupato è illegale
http://247.libero.it/rfocus/34132224/1/milano-i-giudici-respingono-il-cox-18-lo-spazio-occupato-illegale/
– city rumors.it
La Cassazione: “Cox 18 è illegale”
http://milano.cityrumors.it/2018/01/24/4285/
– Milano in Movimento
– infoaut.org
Milano: Cox 18 sotto sgombero assieme all’archivio Primo Moroni
https://www.infoaut.org/culture/milano-cox-18-sotto-sgombero-assieme-all-archivio-primo-moroni
Comunicato Cox18
A proposito degli articoli apparsi su alcuni quotidiani sulla sentenza della Cassazione in merito alla vertenza tra il Comune di Milano e il CSOA Cox18 sul “usucapionem” dello stabile di via Conchetta 18.
La sentenza