All posts by apmcox18

Koukouloforos: l’insurrezione greca e la rivolta europea

16 Aprile 2009 – dalle 19.00

Koukouloforos: l’insurrezione greca e la rivolta europea – aperitivo con documentario e dibattito

«WE ARE AN IMAGE OF THE FUTURE» (slogan apparso sui muri di varie città greche nel dicembre 008)

L’insurrezione dei koukouloforos (gli incappucciati, dalle felpe nere indossate dai giovani rivoltosi) in tutte le grandi città della Grecia (Atene, Salonicco, Patrasso) nel dicembre 2008 ha evidenziato una profonda rottura politica e sociale.
Ne discuteremo con Xaris dello spazio sociale occupato e autogestito Fabrika Yfanet di Salonicco, che viene a presentare allo spazio sociale rioccupato Cox18 il documentario autoprodotto Greece – December 2008 – The potentiality of storming heaven (35 minuti, sottotitoli in italiano).
Verrà anche distribuita l’edizione italiana di Koukouloforos, giornale di movimento multilingue.

 

Solidarietà agli insorti greci, mobilitatisi contro lo stato di polizia
che aveva assassinato Alexis Grigoroupolos e contro i tagli selvaggi
del governo di destra in risposta alla crisi economica!

PROGRAMMA:
ore 19:00 aperitivo
ore 20:30 proiezione documentario The Potentiality of Storming Heaven
ore 21:00 dibattito con Xaris sulla grande ribellione greca

Link agli spazi sociali greci che hanno dato sostegno alla rivolta:
Villa amalias (Athens) http://www.villa-amalias.blogspot.com
Patision 61 (Athens) http://pat61.wordpress.com
Prapopoulou (Athens) http://protovouliaxalandriou.blogspot.com
Lelas Karagianni (Athens) http://www.geocities.com/lelas_k
Fabrika Yfanet (Thessaloniki) http://www.yfanet.net
Delta (Thessaloniki) http://delta.blogs.squat.gr
Euaggelismou (Heraklio) http://katalipsievagelismou.blogspot.com
Rosa Nera (Chania) http://rosanerasquat.blogspot.com
Matsagou (Volos) http://matsaggou.blogspot.com

Proiezione – Bambule di Ulrike Meinhof

09 aprile 2009

Perché il fuoco non muore. Mostra sui militanti della RAF uccisi nelle carceri tedesche

Dalle 21.30

Proiezione del film di Ulrike Meinhof, Bambule. Rieducazione, ma per chi?  (1970, 90 min, sott. it.)

BAMBULE significa fare casino, confusione. Tra le ragazze rinchiuse negli istituti di rieducazione tedeschi era un termine usato per indicare momenti di sfogo collettivo, che poi sfociavano in proteste spontanee.

… hai visto? Facciamo qualcosa, un’azione, e che ne viene fuori? Bambule! Si rompe tutto e poi arrivano gli sbirri e siamo fottute…
(Iv, ragazza dell’istituto di Berlino)

BAMBULE fu scritto nel 1969/70 da Ulrike Meinhof insieme ad alcune ragazze dell’istituto di rieducazione di Eichenhof, Berlino.
In questo genere di istituti venivano rinchiusi e imprigionati ragazzi e ragazze ritenuti “disadattati”, “deviati”. Si trattava per lo più di minorenni provenienti, in alcuni casi, da ambienti di grave disagio sociale, di indigenza, di abbandono.

Negli atti che dichiaravano la “devianza” si leggeva a proposito delle ragazze di Eichenhof: avida di sesso, vagabondaggio, sesso per denaro, cambio di lavoro. Oppure: frequenta stranieri, porta minigonne. Oppure: disadattata, ribelle, bugiarda. Anche l’omosessualità veniva ritenuta “devianza”.

Si trattava dunque di rinchiudere le giovani ribelli in istituto, di disciplinarle alla “buona condotta” con la coercizione, schiacciando così la loro volontà di ribellione contro le regole, contro la “norma”.

Irene, una delle protagoniste, commenta così il destino delle ragazze che si lasciano sottomettere:
Chi combatte, lo sbattono fuori. Chi si comporta bene se lo dimenticano, ci marcisce, qui dentro. Chi si sottomette, lo annientano, capisci? … Se ti sottometti, quelli son contenti che ti hanno annientato. Allora poi sono gentili con te.

Ulrike Meinhof scrisse BAMBULE come sceneggiatura di un film per la televisione.
Il film fu girato da Eberhard Itzenplitz nell’aprile 1970. Il film, in programma sul canale ARD nel maggio 1970, fu però cancellato dalla programmazione perché Ulrike Meinhof fu sospettata di aver partecipato alla liberazione di Andreas Baader.

BAMBULE è soprattutto un’inchiesta che Ulrike Meinhof condusse insieme ad alcune ragazze dell’istituto di Eichenhof, Berlino, e in particolare insieme Irene Goergens.
Ulrike conobbe Irene nell’istituto di Eichenhof. La intervistò diverse volte e la invitò a casa sua, nel caso Irene avesse deciso di scappare dall’istituto, cosa che avvenne realmente. Fuori dall’istituto, grazie soprattutto all’amicizia di Ulrike Meinhof, Irene prese coscienza della propria condizione di sfruttata, cosa che emerge anche dai dialoghi finali del film:

Per questo bisogna discutere, molto di più, perché lo facciamo, perché lo vogliamo. Insomma bisogna discutere… e riempire il bunker di scritte intelligenti. Non “È tutto merda”, oppure “Peter I love you”. Basta con ‘ste cose! Gli istituti sono delle prigioni!”, “Vogliamo paghe giuste!”, “Abbasso il tribunale!”. Così dobbiamo scrivere, così!

BAMBULE infatti non è solo confusione, caos, ma anche lo stato nascente di una coscienza di classe, del proprio sfruttamento.

D.O.A. + CRASH-BOX + SEDITIUS

08 aprile 2019 – Dale 22,02

COX18 presenta: D.O.A. + CRASH-BOX + SEDITIUS

D.O.A.
LA LEGGENDARIA BAND CANADESE CHE HA TRACCIATO I CONFINI E LE SONORITÀ DEL PUNK-HARDCORE.
30 ANNI DI CONCERTI TOURNÈE E REGISTRAZIONI.
I SIMBOLI E GLI SLOGAN DEI D.O.A. SONO SULLE T-SHIRT E SUI GIUBBOTI DEI/DELLE PUNK DI TUTTO IL MONDO.
PORTANO I BRANI DEL NUOVO ALBUM “NORTHERN AVENGER” OLTRE AL RESTO DEL LORO ENORME REPERTORIO.

 

NELLA STESSA SERATA SUONERANNO UN ALTRO MITO DEL PUNK-H.C. NOSTRANO, I GLORIOSI CRASH-BOX…OCCHIO..!! GIRA VOCE CHE SIA IL LORO ULTIMO CONCERTO E POI SI RI-SCIOGLIERANNO..SARÀ VERO..?!? NOI SPERIAMO DI NO..SI VEDRÀ..!!

A SUPPORTO UN DJ SET PUNK-H.C DEGNO E COLMO DI VINILE…!!!

 

PERCHE’ IL FUOCO NON MUORE

06 aprile 2009

Perché il fuoco non muore. Mostra sui militanti della RAF uccisi nelle carceri tedesche

Dalle 19.00
Inaugurazione della mostra, aperitivo e proiezione del cortometraggio di Holger Meins, Oskar Langenfeld

Holger Meins – militante della RAF, morì il 9 novembre 1974 a Wittlich a seguito del nutrimento forzato nel corso
di uno sciopero della fame contro le condizioni annientanti dei detenuti politici. Fu arrestato il 1 giugno 1972
assieme ad Andreas Baader e Jan-Carl Raspe. Questi tre detenuti, assieme a Gudrun Ensslin e Ulrike Meinhof,
furono presentati dallo stato come “i capi principali della RAF“ e accusati per le azioni del maggio 1972 contro le
basi americane a Heidelberg e Francoforte. Da quelle basi militari vennero coordinati i bombardamenti contro
il Vietnam. Questi compagni furono accusati anche d’aver attaccato le questure d’Augsburg e di Monaco
nonché la centrale del consorzio giornalistico di Springer ad Amburgo e la macchina d’un giudice della Corte di
Cassazione (BGH). Con quest‘ultima azione la RAF attaccò le condizioni d’isolamento a cui erano sottomessi
i detenuti politici.

Siegfried Hausner, militante della RAF, morto il 4 maggio 1975. Partecipò all‘occupazione dell‘ambasciata
tedesca a Stoccolma il 24 aprile del 1975 per liberare 26 detenuti politici. Nel corso di quest‘occupazione venne
ferito gravemente e, benchè dichiarato incapace di poter essere trasportato, venne trasferito in elicottero da
Stoccolma al carcere di Stuttgart-Stammheim

Ulrike Meinhof – viene trovata morta nella sua cella nel carcere di Stuttgart-Stammheim l‘8 maggio 1976.
Una commissione internazionale d‘inchiesta constata: “Le affermazioni delle autorità statali, che Ulrike… si sia
suicidata, non sono state provate… I risultati delle inchieste suggeriscono piuttosto che Ulrike… era già morta,
quando è stata impiccata, e che ci sono degli indizi inquietanti che indicano un intervento da parte di terzi
nel corso della sua morte… di fronte al fatto che i servizi segreti – accanto al personale del carcere – avevano
accesso libero alle celle, attraverso una porta separata e segreta.

La mattina dell’8 ottobre 1977 vengono trovati morti Andreas Baader e Gudrun Ensslin, e in condizioni gravi
Jan-Carl Raspe e Irmgard Möller (tutti della RAF) nelle loro celle. Jan muore poche ore dopo. Subito viene
diffusa la versione del suicidio, benché si scoprono molte incongruenze nelle inchieste. Il corpo di Gudrun mostrò varie ferite ed ematomi. Queste “contusioni” vennero spiegate in parte col fatto che il corpo, dopo essersi impiccato, si fosse urtato contro degli
oggetti duri, in seguito alle convulsioni al punto della morte. Questo fatto però non si poteva dimostrare perché
gli agenti avevano “liberato” subito il corpo impiccato. Come era già successo nel caso di Ulrike, non venne
eseguito il test dell‘istamina, che poteva indicare se venne impiccata una persona viva o un corpo già morto.
Irmgard, l‘unica sopravissuta, dice: “Per noi era chiaro, non è stato un suicidio. Siamo decisi a lottare… Non
sono stata io a ferirmi” (coltellate vicino al cuore). Irmgard aveva dormito e si è svegliata durante il trasporto
all’ospedale. Dopo 21 anni di carcere è stata liberata nell’autunno del 1993. Per le sue affermazioni contro la
versione dei suicidi, venne indiziata nuovamente.

Ingrid Schubert viene trovata morta il 12 novembre 1977 nel carcere di Stadelheim (Monaco). Anche in
questo caso lo stato subito parlò di suicidio. Tutte le persone che contestarono pubblicamente la versione del
suicidio, vennero indiziati. Così la “verità dello stato”, fino ad oggi senza prove, diventava attraverso i mass-
media la verità della società.

Sigurd Debus non è stato militante della RAF, ma di un altro gruppo armato clandestino. Arrestato nel 1974,
partecipava allo sciopero della fame del 1981, per lottare assieme ai detenuti della RAF contro l‘isolamento nelle
carceri. Siccome già morto da alcuni giorni, lo stato pubblicò la notizia sulla sua morte solo il 16 aprile 1981, il
giorno in cui lo sciopero della fame venne finito. Scrisse il suo avvocato: “Tutti gli indizi ci mostrano che è stato
il nutrimento forzato nel ospedale del carcere istruttorio d’Amburgo che ha causato la morte di Sigurd Debus“.
La borghesia voleva far credere attraverso la manipolazione della data di morte che i detenuti avessero finito
lo sciopero della fame a causa della morte di Sigurd, e non per le promesse fatte da parte dello stato di abolire
l’isolamento. Lo stato non ha adempito le sue promesse. L‘inchiesta sulla morte di Sigurd non ha avuto un
risultato, perché è sparita una parte dei documenti dell’ospedale. I medici e gli agenti coinvolti nella sua morte
sono rimasti sul loro posto. Per molti compagni che avevano appoggiato lo sciopero della fame Sigurd doveva
morire perché voleva lottare assieme ai detenuti della RAF.

Georges Lapassade

05 aprile 2009

Connaissiez-vous Georges Lapassade? – Omaggio a Georges Lapassade (1924-2008)

h. 15.30 – interventi di:
Noemi Bermani, Gilberto Camilla, Renato Curcio, Roberto De Angelis, Gianni De Giuli, Gianni De Martino, Piero Fumarola, Leonardo Montecchi, Robetro Panzacchi, Nicoletta Poidimani, Paolo Sollecito, Guglielmo Zappatore
Nel corso dell’iniziativa saranno presentati:
Altrove – numero dedicato a Hoffman e Lapassade
L’Autobiografo, di Georges Lappassade, Edizioni Besa 2009
All’ombra di Georges Lapassade, Testimonianze e aneddoti dal Salento, a cura di Guglielmo Zappatore, Sensibili alle foglie, 2009

h. 19.30
Aperitivo organizzato da Maistat@zitt@ e musica salentina con “La ronda della pace, l’unica ronda che ci piace”

Tracce biografiche, a cura di Nicoletta Poidimani:

Non intendo mettermi nell’impresa titanica di dare di Georges un ritratto quanto più possibile esaustivo, perché era una personaggio assai complesso e il suo percorso è impossibile da rendere se non combinando fra loro, come in un mosaico, le testimonianze di chi negli scorsi anni ha avuto modo di incontrarlo, di fare seminari con lui, di lavorarci insieme, di discutere. Quindi il mio non sarà che un piccolo tassello, utile a chi non ha mai avuto occasione di conoscerlo. Ma il mio testo (come anche tutte le interviste richiamate in fondo) non può rendere in alcun modo il modo in cui si lavorava con lui ai seminari, le notti trascorse insieme a montare un libro che aveva fretta di pubblicare in Italia non appena se ne era offerta l’occasione, il bombardamento di stimoli che dava, l’irrequietezza e la curiosità che lo facevano sempre essere già altrove, in un continuo attraversamento di pensieri, contraddizioni, luoghi, storie, culture.

Georges Lapassade – Agrégé de Philosophie e Docteur d’État (Es – lettres) – è un poliedrico intellettuale occitano che attualmente insegna Analisi Istituzionale ed Etnografia all’Università Paris VIII di Saint Denis.
La sua opera si presenta come sintesi e sviluppo degli aspetti più libertari delle teorie e delle relative pratiche innovative che già dagli anni ‘40 in Francia avevano messo in discussione la gestione burocratica del potere, attuata attraverso la forma-istituzione.
Prima di entrare nello specifico della sua eclettica attività e per meglio comprenderla ci sembra necessario porre quale spartiacque teorico la Critica della ragione dialettica di Sartre, il cui primo tomo, pubblicato nel 1960, ampliò l’orizzonte dell’intervento pratico in ambito istituzionale.
Fino a quel momento, infatti, le esperienze erano state limitate a gruppi specifici quali, ad esempio, il gruppo di psicoterapia istituzionale che, all’interno dell’ospedale psichiatrico di St. Alban, fece, nel 1947, il primo tentativo di innovazione psichiatrica a partire dalla critica del carattere disumano di quell’istituzione e dei rapporti repressivi e desocializzanti che in essa si stabilivano.
Questa esperienza – che corrispondeva a quella che, qualche decennio più tardi, sarebbe stata proposta in Italia da Basaglia – comprendeva anche Tosquelles, un medico esiliato antifranchista che Lapassade avrebbe incontrato nel 1963, e Daumezon, lo psichiatra che, nel 1952, riprese il termine istituzionale in riferimento alla psicoterapia dopo che esso era caduto in disuso per l’ambiguità delle sue implicazioni dovute all’eccessiva ampiezza di senso della parola ‘istituzione’.
Nel frattempo a Bethel, nel Maine (U.S.A.), nel 1947 durante un seminario finalizzato alla formazione di operatori attraverso lo studio della dinamica di gruppo, avvenne un episodio che diede una svolta fondamentale: gli operatori in formazione cominciarono a partecipare anche ai momenti di analisi – fino a quel momento riservati solo agli insegnanti – sull’andamento del seminario, aprendo, in tal modo, uno spazio di riflessione e di dibattito in contemporanea allo sviluppo della formazione. Nacque, così, una nuova pratica formativa, chiamata T. Group (Training group), che trovò uno spazio all’interno della metodologia tradizionale gestita da insegnanti provenienti da varie correnti culturali a cui avrebbe fatto riferimento, se pur criticamente, anche Lapassade: correnti che si richiamavano a Freud, a Moreno – teorico dello psicodramma– a Lewin – sociologo gestaltista – a Rogers – teorico della non-direttività in contrapposizione ai procedimenti psicoanalitici classici del transfert e dell’interpretazione.
 
La pratica del T.Group si diffuse in Francia a partire dal 1955 e Lapassade le dedicò un saggio, pubblicato nel 1959 nel Bulletin de Psychologie, dal titolo “Fonction pedagogique du T.Group”. Questa funzione pedagogica veniva qui presentata come il necessario superamento della pedagogia libertaria sostenuta dai maestri di Amburgo, che permettesse di abbandonare la logica amburghese del ‘laissez- faire’ per sostituirla con la pratica del ‘laissez-être’.
In questo saggio Lapassade, coniugando l’educazione negativa di Rousseau con la non-direttività teorizzata da Rogers, proponeva la figura di un educatore non direttivo che, più che negare le norme, ne facilitasse l’individuazione da parte del gruppo.
In tal modo l’alternativa proposta da Lapassade alla pedagogia autoritaria permetteva di mantenere aperta ogni possibiltà di evoluzione del gruppo riconoscendo i momenti di disordine totale quale smascheramento della coesione burocratico-istituzionale sotto cui è celata la parola sociale.
L’incontro di questa posizione di Lapassade con la teoria sartriana degli insiemi pratici diede luogo alla politicizzazione della non-direttività: l’analisi istituzionale e la pedagogia istituzionale – tese entrambe a ricercare l’inconscio del gruppo nelle sue istituzioni e ad agire attraverso esse per operare un cambiamento radicale – assunsero, così, una funzione politica. L’una si estese dall’analisi dei piccoli gruppi a quella delle organizzazioni e delle istituzioni – luoghi di riproduzione delle contraddizioni sociali – ed alla funzione in esse svolta dalla burocrazia (sia negli stati capitalisti che in quelli socialisti) e dalla divisione in classi; l’altra prese la direzione dell’autogestione pedagogica, una pratica in grado di analizzare, contrapponendo all’istituito l’istituente, i condizionamenti determinati dalla violenza istituzionale.
Questo percorso di crescita teorica di Lapassade, che ebbe luogo nella prima metà degli anni ‘60, lo vide impegnato in diversi ambiti fra i quali anche l’incontro che si tenne nel ‘62 a Royaumont in occasione del bicentenario dell’Emilio e del Contratto sociale. In quell’occasione Lapassade, che avrebbe dovuto animare dei gruppi d’incontro in qualità di psicosociologo, ebbe modo di assistere alla nascita spontanea di modifiche al programma a partire dall’assemblea generale,modifiche che misero in luce l’importanza dell’istituzione-dibattito come possibile luogo d’analisi. Fu proprio questo fatto a determinare la divergenza con la pratica che si era sviluppata a Bethel: mentre nei seminari americani il compito della programmazione e della gestione continuava a spettare allo staff nonostante le innovazioni introdotte, da Royaumont invece emerse l’importanza della partecipazione diretta anche nella creazione delle istituzioni interne quali, appunto, l’istituzione-dibattito (autoformazione).
Molto importanti furono anche, nel 1963, l’incontro con Lourau – che stava facendo delle esperienze di autogestione nel collegio di Air-sur-Adour dove insegnava – e la conoscenza con Tosquelles, il medico esule che praticava la psicoterapia istituzionale.
In quegli anni, inoltre, la destalinizzazione ed il rapporto Kruscev venivano dibattuti negli ambiti intellettuali e studenteschi attraverso la critica della società burocratizzata; proprio per tale ragione il congresso dell’UNEF, il sindacato degli studenti universitari francesi, nel 1963 si occupò sia di autogestione che di critica della burocrazia.
Nel frattempo si andava sviluppando lo psicodramma e il suo fondatore, Moreno, si era recato a Parigi lasciando tracce profonde della sua teoria che ritroveremo anche nelle opere di Lapassade, in particolare ne Il mito dell’adulto (1963).
Quando, nel ’64 il GTE (Gruppo di Tecniche Educative), nato dalla corrente di Freinet e da essa dissidente, all’impatto con il SOCINAT – struttura di socioanalisi fondata dall’UNEF e di cui Lapassade era consulente – si scisse in due correnti, una di queste, il GPI (Gruppo di Pedagogia Istituzionale) di cui faceva parte anche Lourau, si fece portavoce dell’autogestione coniugando Freinet e Makarenko alla non-direttività. Questa stessa corrente ebbe, nel corso del ’65, alcuni incontri col gruppo ‘Socialisme ou barbarie’, che determinarono un’ulteriore politicizzazione.
In quel medesimo anno Lapassade ricevette la nomina per andare ad insegnare, in qualità di cooperante, all’università di Tunisi dove giunse in ottobre, aprendo quel capitolo itinerante della sua attività che si protrae a tutt’oggi. Nell’ambito dei suoi corsi sulla dinamica di gruppo e sullo psicodramma, tenuti presso la facoltà di Lettere dell’università tunisina, Lapassade propose ai suoi studenti l’autogestione pedagogica. L’utilizzo di questo metodo in rottura con le tradizioni di quell’ateneo determinò l’avvio d’un processo di emarginazione nei suoi confronti che un anno più tardi sarebbe sfociato nella rottura del contratto di cooperazione. Ad accrescere l’ostilità intervenne un altro fatto: messo al corrente dai suoi studenti di una forma locale di terapia di gruppo, lo stambeli, Lapassade aveva organizzato con essi una serata in cui vennero chiamati i musicisti neri di questo rituale; non appena cominciarono le musiche e le danze, nell’istituto nazionale degli sport di Ksar-Said, intervenne il direttore sospendendo l’incontro al fine di interrompere la transe che aveva coinvolto tutti i presenti e minacciando Lapassade di denunciarlo al ministero per aver trasformato quel luogo in un laboratorio.
La scoperta dei rituali di possessione e della loro emarginazione acuì, in tal modo, lo scontro con le istituzioni: esattamente un anno dopo la serata dello stambeli, il 3 dicembre 1966, il ministro dell’educazione tunisino annunciò a Lapassade che il suo contratto era stato interrotto e che,di conseguenza, non avrebbe più potuto insegnare in Tunisia. La ragione ufficiale di questa decisione era l’accusa di aver partecipato al primo grande sciopero degli studenti universitari tunisini del dicembre ’66, sorto in seguito all’arresto di uno studente che si era rifiutato di pagare il biglietto sull’autobus e dei suoi compagni che avevano immediatamente protestato contro l’eccessiva repressione. In quell’occasione i professori francesi cooperanti avevano cercato, senza esporsi direttamente, di sostenere lo sciopero mantenendo vuote le aule dei corsi e contrapponendosi alla reticenza dei docenti tunisini, ma soltanto Lapassade venne segnalato come ‘agitatore’ perché, dissero, aveva cercato di interrompere il corso di filosofia tenuto da Foucault in quella stessa facoltà. Su queste basi venne accusato di aver trasgredito la legge intervenendo nella vita politica del Paese in cui era ospitato come cooperante e fu scacciato dall’università.
Nel periodo della sua permanenza a Tunisi Lapassade era stato anche a Dakar in occasione del ‘Festival mondiale delle arti negre’, dove l’amichevole accoglienza gli permise di esporre le sue prime riflessioni sullo stambeli e sulla condizione dei neri nel Maghreb che il rito aveva messo in luce. In questa occasione incontrò il dottor Collomb dell’ospedale psichiatrico di Fann, il medico che aveva riunito in una stessa società d’igiene mentale psichiatri e guaritori tradizionali della possessione; attraverso Collomb ed i suoi collaboratori Lapassade ebbe la possibilità di assistere, per la prima volta, allo svolgimento completo di un rituale di possessione: lo ndöp uolof. Mentre avvenivano queste esperienze d’incontro con la transe e la possessione scrisse L’analisi istituzionale, testo metodologico in cui proponeva il superamento dialettico delle teorie e dei metodi delle scienze sociali mediante un intervento nella pratica sociale mirato a non occultarne la dimensione politica.
Nella seconda metà degli anni ’60, tornato a Parigi, Lapassade stabilì dei contatti con il Living Theater di Julian Beck e, mentre andavano diffondendosi le teorie di Marcuse e di Reich, fece con Lourau delle esperienze di socioanalisi – cioè di intervento mediante l’analisi istituzionale – a Parigi e a Tours.
Lo stesso Lourau organizzò poi, durante uno sciopero nei primi mesi del ’68, un seminario di analisi istituzionale a Nanterre, che sarebbe stato in seguito il nucleo del movimento del 22 marzo. Proprio l’esperienza di questo movimento e del Maggio francese, in cui non la critica teorica ma la prassi critica aveva portato alle occupazioni, alle autogestioni ed alla creazione spontanea di gruppi di autoformazione nelle piazze, indusse Lapassade a rivedere con severità le proprie posizioni antecedenti: le modalità di quella prassi rivoluzionaria avevano dimostrato che i conduttori non solo erano inutili ma rendevano anche più difficoltoso l’agire e che, di conseguenza, non era più possibile individuare nei T. Group e nelle autogestioni delle singole classi l’avvio d’un mutamento sociale poichè queste posizioni allontanavano l’orizzonte d’ogni possibile processo rivoluzionario.
Nel ’69, inoltre, Lapassade pubblicò il Processo all’università per contestare l’ottica riformista con cui la borghesia aveva risposto alle istanze del movimento del Maggio con l’obbiettivo di affossarne lo spirito ‘comunardo’. Amareggiato dagli esiti della contestazione francese, nel ’69 andò in Algeria dove scoprì il rituale degli Aissaua. L’anno seguente, dopo aver lavorato al bilancio istituzionale dell’università del Quebec, si recò in Brasile: prima a Bahia, nel luglio ’70, dove conobbe il candomblé nella forma ufficiale e anche in una forma più ‘selvaggia’, simile alla macumba che successivamente incontrò a Rio.
Negli anni successivi, trascorsi in questa dimensione itinerante o, come preferisce definirla lo stesso Lapassade, ‘alla deriva’, pubblicò L’autogestione pedagogica (1971), scritta in collaborazione con altri autori, fra cui Lourau, mentre Deleuze e Guattari ultimavano L’anti-Edipo (1972). Intanto l’apporto dell’antipsichiatria (Laing, Cooper, Basaglia) e dell’antipedagogia (in particolare Illich) aveva determinato una frattura fra la tendenza ‘estetico-sociologica’ di Lourau che si occupava degli analizzatori sociali, e quella cosiddetta ‘esistenzial-politica’ di Lapassade, che mirava in primo luogo all’intervento. Quando nell’autunno del ’72 l’università di Parigi-Vincennes riunì nel dipartimento di scienze dell’educazione Lapassade, Lourau ed altri, il dibattito era già molto vivo, ma si arricchì ulteriormente l’anno successivo quando Lapassade fece entrare in quella stessa università i docenti potenzialisti che provenivano dal movimento bioenergetico, nato in riferimento alle teorie di Reich. In questa interazione Lapassade aveva individuato la possibilità di superare i limiti del dispositivo socioanalitico accogliendo anche le tematiche del corpo e dei suoi desideri, necessità che aveva già sottolineato nel marzo di quello stesso anno quando, a Bruxelles, trattando l’analizzatore ‘Argent’ mise in luce l’assenza, in esso, del corpo (1).
Una risposta a questa esigenza l’aveva, infatti, trovata nel movimento bioenergetico a cui si era accostato se pure in maniera critica, come egli stesso spiega nelle opere La bioenergia (1974) e Socianalyse et potentiel humain (1975).
Nel 1975, dopo essere stato a Milano come animatore di un seminario di analisi istituzionale, attraversò l’Italia e andò a Napoli e in altre località del Sud per incontrare le transe mediterranee che ancora sopravvivono nel nostro Paese. La sintesi di tutte queste esperienze di conoscenza della transe e dei riti di possessione si trova nel Saggio sulla transe (1976), in cui Lapassade ha contestualizzato il fenomeno della transe mediante le categorie del materialismo storico, e nel Sabba negro (1978), una sorta di romanzo autobiografico cominciato nel ‘76 ad Essauira, in Marocco, in cui i ricordi s’intrecciano con gli interrogatori che la polizia marocchina gli stava facendo in quei giorni e che riguardavano le sue attività a partire dai fatti di Tunisi del ’66.
Un’ulteriore sistematizzazione ed approfondimento degli stati di transe risale ad un suo testo dell’87, Gli stati modificati di coscienza, che è stato molto significativamente tradotto in italiano da Renato Curcio che da anni si occupa dei fenomeni di transe all’interno delle istituzioni totali in cui anch’egli è rinchiuso e che ha anche collaborato con Lapassade per alcuni seminari organizzati da Fumarola presso l’università di Lecce. Nello stesso anno il nostro Autore, in collaborazione con i suoi colleghi Hess e Boumard, ha pubblicato L’Université en transe, in cui è analizzata la protesta del movimento studentesco francese, nata per opporsi al progetto di riforma del ministro Devaquet del 1986.
La Transe è, invece, un testo del 1990 in cui troviamo delineata a fondo la differenza fra la possessione e la transe estatica.
Attualmente Lapassade si sta occupando della musica rap che, nata nel ghetto del Bronx come sintesi di più esperienze musicali di origine ‘nera’, si è diffusa in tutto l’occidente ridando vita ad una tradizione di poesia orale che, secondo l’Autore stesso, si muoverebbe verso una rottura sociale evidente anche nei contenuti dei testi.
 I tratti biografici fin qui delineati ci aiutano a mettere a fuoco la caratteristica fondamentale di Lapassade che è quella di essere sempre direttamente partecipe dei fenomeni che analizza; ecco, allora, diventare chiaro quel “paradosso fra l’esistenza e la scrittura” in Lapassade, evidenziato dal suo collega Hess: la scrittura, essendo ‘fissazione’, non può essere dialettica, ma può costituire un punto di partenza per la prassi, nella quale la dialettica ha invece una funzione fondamentale (2).
E’ questa la ragione per cui i suoi testi non hanno mai una conclusione definitiva: secondo Lapassade, infatti, soltanto l’incompiutezza apre lo spazio dialettico per prassi che non prescindano assolutamente dal corpo inteso sartrianamente; non un corpo metafisico e compiuto,quindi, ma il corpo che nell’attraversamento delle esperienze polimorfe dell’infanzia, dei ‘gruppi in fusione’, dell’autogestione e della transe, scopre la possibilità concreta di trasformare l’esistente.

Note:
(1) G. Lapassade Socianalyse et potentiel humain, Gauthie -Villars Editeur, Parigi 1975, p. 11: “La sexualité est l’horizon de tous les groupes de rencontre. […] de même que le rapport de l’argent est progressivement apparu comme le noyau central de l’institution analysée – l’analyseur A. –, de même, le rapport au sexe apparait comme l’aboutissement des techniques de la rencontre et du corps”.
(2) Ibidem, p. XVII.
 

************************

Segnalo queste interviste a Georges reperibili on line:
http://www.nicolettapoidimani.it/documenti/lapassade.pdf

http://www.psychiatryonline.it/ital/180/monte.htm

http://www.lutecium.org/stp/lapassit.html

http://www.vincenzosantoro.it/salentopizzicamusiche.asp?ID=255

http://www.africultures.com/anglais/articles_anglais/Lapassade.htm

Altre info e la bibliografia (in francese)
http://fr.wikipedia.org/wiki/Georges_Lapassade

http://georgeslapassade.blogspot.com