I CANCELLI DELLA MEMORIA di Osvaldo Verri
Chiaccherata tra Renato Curcio ed un militante dei centri sociali sulla storia degli ultimi 50 anni. Divise in 5 spezzoni, parole e immagini montate con musiche autoprodotte. Contributi del Living Theatre e di Andrea Pazienza tre mesi prima della sua scomparsa.
Nel seminario del 1996 presentammo con Primo Moroni il numero 9 di Millepiani, Biopolitica e territorio, con testi di Michel Foucault, Alessandro Dal Lago, T. Villani, Agostino Petrillo, Augusto Ponzio, Federico Rahola, Patrizia Mello, Paola Rossi, Teresa Macrì, Ubaldo Fadini e intertesti poetici di Giovanni Tamburelli, fu quella l’occasione per organizzare con la Libreria Calusca e il centro sociale Cox 18 una lunga giornata in cui agli interventi teorici si unirono letture di poesie, un concerto e l’esposizione dei dipinti di Stefano Vailati e la partecipazione di autori e collaboratori degli altri numeri.
Nel 1996 si era riaperta una stagione di intenso scambio di idee e ricerche e Primo era un abile e raffinato tessitore di relazioni e incontri, acuto indagatore di realtà critiche e mai banali.
Eravamo in tanti, noi di Millepiani, i poeti della rivista La Mosca, artisti, amici, compagni. Da lì abbiamo continuato con testarda ostinazione, ma senza precludere la strada alla messa a critica delle nostre ricerche, delle nostre passioni.
È con Primo Moroni che abbiamo costruito questa possibilità, e con tutti coloro che vedete presenti in questa e molte altre occasioni.
Il progetto Millepiani è un progetto di ricerca che nasce dall’esigenza di ridare espressione a tutte quelle istanze di pensiero che fanno parte dello scommettersi con la vita e i suoi molteplici divenire.
È difficile attualmente rinvenire ambiti precisi di produzione dei saperi, tutti quei centri di pensiero che fino ai primi anni Settanta avevano svolto la funzione di veri e propri punti di riferimento per la creazione di idee e di pratiche di ricerca appaiono oggi in crisi. Le ragioni di tale crisi sono di varia natura ma è utile qui richiamarne almeno due: il divorzio tra conoscenze e pensiero critico, nonché la dispersione delle intelligenze a fronte di un rapido processo di svuotamento di tutti gli spazi deputati alla ricerca.
Nel primo caso, la rottura del rapporto con un certo modo di intendere la dimensione politica e dunque pubblica del pensiero ha finito con il dissolvere tutta una serie di ambiti, situazioni e riflessioni che tentavano di interrogarsi sul prodursi degli eventi e sulle loro espressioni. Questo legame, oggi venuto meno, svolgeva un tempo una funzione di “presa diretta” sullo stato delle cose.
Inoltre, in molti luoghi istituzionali il sapere si è tradotto nella costruzione dell’ennesima cinghia di trasmissione tra “ceti intellettuali ‘tristi’” e comunicazione.
È così che possiamo senz’altro rilevare l’affermarsi di una nuova cesura che separa in modo drastico le nuove élite dai consumatori dei prodotti della cultura di massa.
La dematerializzazione della vita si traduce in un costante movimento di contraffazione degli eventi. In questo trasmutarsi delle forme di comunicazione e dei saperi si verifica anche una vera e propria destrutturazione degli statuti disciplinari: la divulgazione impone un appiattimento della complessità stessa dei linguaggi.
Quest’appiattimento finisce con il provocare una sorta di cortocircuito dell’affabulazione: si ipotizza e si costruisce un’idea di pubblico cui rivolgersi, lo si sonda in ragione dell’età, dell’istruzione e dei bisogni e lo si produce come un universale vuoto al quale riferire un’offerta che diviene necessariamente sempre più atona e banale.
Il soggetto consumatore a questo punto, posto nel ruolo dello spettatore consumatore passivo, non potrà che aderire alla natura dell’offerta che gli viene proposta.
Ci preme precisare che un sistema così ben rodato viene tristemente replicato negli ambiti più div
ersi, spesso destituiti di ogni potere, ma ammaliati dalla possibilità di poter comunque occupare degli spazi in cui apparire.
Millepiani nel corso di tutti questi anni ha voluto continuare a essere un ambito di riflessione ostinatamente interessato alla dimensione filosofico-politica di un presente che per quanto frammentato continua a produrre spazi e aperture che indicano percorsi diversi da quelle tautologie che intendono rigidamente perimetrare le trasformazioni e i bisogni delle esistenze.
In un presente fortemente frammentato e divaricato tra nuove marginalità e nuove strutture gerarchiche la necessità di conoscenza, ricerca e immaginazione risulta essenziale.
Gli ambiti in cui continua a prodursi il sapere critico sono quindi luoghi della necessità: necessità dell’espressione, della creazione e della ricerca di senso: “Poiché la razza votata all’arte o alla filosofia non è quella che si pretende pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade, irrimediabilmente minore…” (Deleuze – Guattari, 1991).