Il ciclo di incontri “le lunghe ombre del diritto” si sposta per una volta a Sestri Levante (GE), per discutere di: situazione del conflitto e scenari possibili nell’area del Maghreb
c/o sala Coop, via Eraldo Fico, Sestri Levante (GE)
Tunisia, Libia, Egitto
Quali sono i gendarmi del Mediterraneo? Cosa difendono realmente? Mobilità, flussi migratori e politiche dei governi dell’area
Partecipano: Omeyya Seddik Federico Rahola
la serata sarà trasmessa in streaming audio da qui: http://cox18.noblogs.org/ascoltaci-in-streaming
organizzano: Archivio Primo Moroni, Centro Donato Renna, Acari Tigullio, Centro culturale islamico Alhuda
Note per l’incontro su: situazione del conflitto e scenari possibili nell’area del maghreb. Tunisia, Libia, Egitto. Quali sono i gendarmi del Mediterraneo? Cosa difendono realmente? Mobilità, flussi migratori e politiche dei governi dell’area
Da anni la guerra alle migrazioni si sposa ad un processo di crescente criminalizzazione di soggetti e comportamenti. Questa vulgata narrativa ha origine dalla rivoluzione conservatrice avviata negli Stati Uniti e nell’Inghilterra tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 (Thatcher, Reagan) e ha avuto grande diffusione in tutta l’Europa e in gran parte dell’occidente, agita anche e, in alcuni casi, soprattutto dalle cosiddette “amministrazioni democratiche e di sinistra”. Il meccanismo descritto da Foucault in “sicurezza, territorio, popolazione” di un capitalismo che persegue la prosperità dei più forti hic et nunc ed esclude l’eccedente umano, in quanto minaccia a tale prosperità, costruendo limitazioni di spazio, soggetti aventi diritto a viverci e gendarmi, sembrava dominare l’ordine mondiale.
Le rivolte arabe dell’ultimo anno hanno scompaginato l’esistente, non solo distruggendo regimi autoritari ma affermando un nuovo diritto alla mobilità che se ne infischia di patti, accordi, quote, ma pratica la confusione e l’attraversamento di quegli spazi che muri visibili e non, avevano voluto sorvolabili solo da capitali.
Hanno altresì determinato contraddizioni tra gli stessi paesi europei facendo cadere la maschera delle norme Schengen che hanno mostrato così il loro volto di mero strumento di controllo.
Comprendere ciò che è avvenuto nella fascia nord africana del mediterraneo, quali tensioni agiscono, quali differenze evidentemente esistenti e in alcuni casi palesi dei processi di trasformazione in atto in quei paesi, permette di delineare lo scenario possibile delle nuove politiche di contenimento delle migrazioni dei paesi europei nonché cosa le nuove classi politiche uscite dalle rivolte arabe devono ai loro popoli.
Le primavere arabe, per impedire che i “funzionari dell’umanitario” continuino a progettare il loro ordine mondiale facendo pagare ai migranti un prezzo che continua ad essere altissimo in termini di morti in mare o, per chi approda, di detenzione dietro i muri dei Centri di Identificazione ed Espulsione, devono necessariamente raccogliere frutti sia sulla loro sponda del mediterraneo che sulla nostra.
Le lunghe ombre del diritto – ciclo di incontri e discussioni
“La grande contesa 2 (l’esterno)”: flussi migratori, barriere, isole di privilegio super attrezzate e difese, ghetti e luoghi del bando.
Messico: dallo zapatismo alla barbarie
partecipano: Antonio Frillici, autore di Benvenuti a Tepoztlan Pino, Flores Magon, Milano Fabio, Grafica Indipendente Solidaria
Dall’insurrezione zapatista del 1º gennaio 1994, il Messico ha conosciuto molte e diversificate lotte sociali di straordinario vigore. Oltre alle esperienze in Chiapas condotte dall’EZLN, vanno senz’altro ricordate le vittoriose lotte di Atenco contro l’apertura di un nuovo aeroporto internazionale per Città del Messico, la rivolta di Tepotzlan in Morelos contro la costruzione del più grande campo da golf di tutta l’America e, da ultimo, la valorosa battaglia della “comune” di Oaxaca.
Però, a fianco di queste splendide esperienze sociali, andava crescendo sempre più il potere dei cartelli della droga, la corruzione dilagava nella politica e tra i giudici, in combutta con i narcotrafficanti, e le violenze contro gli attivisti sociali, quando non il loro assassinio, spostavano a poco a poco l’asse del conflitto.
Con la fraudolenta elezione di Felipe Calderón nel 2006, avvenuta nonostante le massicce manifestazioni di resistenza a Città del Messico, la deriva violenta del potere era un fatto acquisito.
In nome della cosiddetta “guerra al narcotraffico”, le uccisioni e le stragi diventavano un fatto quotidiano, con il risultato che in quattro anni di presidenza Calderón si sono contati circa 40 mila morti. Le bande dei narcotrafficanti, quando non direttamente la polizia o l’esercito, seminano il terrore, mentre foto orripilanti di cadaveri decapitati e martoriati riempiono le pagine dei giornali.
La militarizzazione del Messico è ormai una certezza, mentre le lotte sociali diventano sempre più difficili e gli Stati Uniti s’intromettono in maniera crescente negli affari interni del Paese. Ed è così che quella frontiera splendidamente narrata da Cormac McCarthy, oggi superprotetta con i suoi traffici d’armi, droga e clandestini, torna a riaprirsi alle scorrerie dei gringos come ai tempi di Theodore Roosevelt.
“La grande contesa 2 (l’esterno)”: flussi migratori, barriere, isole di privilegio super attrezzate e difese, ghetti e luoghi del bando.
Quando la norma si fa muro
La regolazione del conflitto sancisce la separazione tra chi è dentro “l’ordine” e chi ne è fuori. Una frontiera, metafora materiata del disequilibrio da difendere, separa rigidamente gli uomini e veglia sul passaggio delle merci. La regola assume l’aspetto del muro, del tratto di mare, della striscia desertica controllata dai droni, a proteggere le enclaves ricche di “civiltà” dall’assalto degli stranieri che le minacciano.
Al di qua del muro non occorre conoscere per davvero quanto accade al di là. Oltre la siepe ci sono il buio, la “casa maledetta” di Boo Radley, “il disordine” – lo “si sa” – e ciò conferma la necessità di proteggersi evitando il contatto. Così il confine alimenta una rappresentazione pregiudizievole e razzista che tende ad autogiustificarsi. Il “diritto” della difesa nazionale mina il dovere della solidarietà tra i popoli e trasforma
il conflitto sociale in una questione di ordine pubblico internazionale.
Nella terza parte della serie di incontri sulle “lunghe ombre del diritto” vorremmo affrontare, nell’ottica di chi sta dall’altra parte del muro, alcune di queste situazioni di regolamentazione dello spazio “esterno”.
– Il Messico, separato dagli Stati Uniti da un confine fatto di deserto, filo spinato e barriere elettroniche
– I Paesi del Maghreb, separati dall’Europa da un mare Mediterraneo pattugliato dalle marine militari
– La Palestina, separata da Israele da un muro lungo quasi mille chilometri, archetipo quintessenziale di tutti i muri eretti dopo l’89
– L’Africa sub-sahariana, separata da un muro naturale di sabbia, che non impedisce però alle ricche enclaves di depredarne le risorse
Ciclo di incontri cura dell’Archivio Primo Moroni e del Centro Donato Renna
http://www.inventati.org/apm
http://www.centrodonatorenna.org
Le lunghe ombre del diritto – “La grande contesa 1 (l’interno)”: Milano come caso esemplare, la riorganizzazione degli spazi per mettere a valore e controllare il territorio. Expo, spazi sociali, i luoghi del vivere e dell’abitare, una mappa per agire.
Continua il ciclo di incontri e discussioni, con interventi di: Archivio Primo Moroni: Introduzione. Alla scuola del Primin Sonia Paone (autrice de “Città in frantumi. Sicurezza, emergenza e produzione dello spazio” – Franco Angeli, 2008): Frammentazione e mercificazione dello spazio urbano, gentrificazione, strapotere della rendita, performatività delle immagini elaborate dalle politiche di marketing, retorica e ideologia della governance urbana con un occhio sulla militarizzazione di via Padova, su Expo, Santa Giulia, PGT. Mario De Gaspari (autore de “Malacittà. La finanza immobiliare contro la società civile” – Mimesis, Milano 2010): L’immobiliarista e l’amministratore pubblico: come funziona il trading immobiliare e i suoi effetti sociali Comitato No Expo: dopo l’approvazione del PGT aggiornamenti e prospettive Nonostante Milano: intervento
una traccia:
La conformazione dello spazio urbano non è mai neutrale.
Lo sapeva chi sceglieva la zona più accessibile per ubicarci l’agorà, il luogo dell’incontro ; lo sapeva chi sceglieva la piazza centrale per costruire la torre o il campanile più alti; lo sa chi, oggi, costruisce quartieri residenziali lontani e al sicuro dalla contaminazione del contatto.
La funzione degli scenari urbani consegue alle forme di esercizio del potere, avviluppa fisicamente la relazione che lega dominatore e dominato costruendo una toponomastica delle differenze. Come i viali sono il luogo in cui far sfilare l’esercito ‘di popolo’, così oggi rondò e tangenziali costruiscono un filtro che seleziona l’accesso (avete mai provato ad attraversare un rondò in bicicletta? o a
piedi?).
Contemporaneamente la logica secondo cui vanno sottoposti a regime di custodia tutti i potenziali criminali, ossia “loro”, ci fa sentire a nostro agio in questa sorta di panopticon globale costituito dalla miriade di telecamere che costantemente vigilano sui nostri ed altrui gesti. Non a “noi” guardano questi occhi elettronici, ma a “loro”, per scoprirli quando, appunto, riescono ad intrufolarsi nella città dei buoni.
Di conforto, nel nome del decoro, numerose ordinanze comunali garantiscono la punibilità per chi mangia un panino sulla panchina sbagliata e la legge promette carcerazione e reimpatrio per chi non ha il permesso di restare.
Questa organizzazione, nel produrre ordine e limitando la vicinanza e le occasioni di incontro, riscuote il suo successo nei tanti che, abituati ad una emergenza esistenziale, lavorativa, abitativa, sanitaria, … temono grandemente il contagio con la malasorte ossia sperano che nulla accada che li faccia spostare dalla parte di quello che non ha più un mezzo per superare il rondò, ossia dalla parte
del torto.
Nell’ordine, come è previsto, c’è chi guadagna e chi perde, “la legge è uguale per tutti”, chi vuole fare affari li faccia. Quindi alla speculazione è lasciata la possibilità di lucrare sulla trasformazione dell’arredo urbano: gli amministratori pubblici dismettono gli averi comuni (che passano quindi dall’essere di tutti all’essere di qualcun’altro) ed espropriano i privati piccoli a vantaggio del privato grande, in cambio della promessa di conservare il posto di lavoro. In un modo o nell’altro sono precari anch’essi.
Così la modernità disegna il suo spazio urbano limitando al massimo le occasioni di contatto e consegnando al mercato il luogo dell’incontro: “il modo più veloce (e sicuro?) per arrivare ai binari della stazione centrale di Milano sono le scale mobili della libreria Feltrinelli”.
Ma c’è di più, l’urbanizzazione tende ad assumere delle proporzioni mai immaginate prima: 3,3 miliardi di persone vivono oggi in aree urbane e saranno 4,9 miliardi nel 2025, oggi ci sono più di quattrocento città che superano il milione di abitanti e più di un miliardo di persone vive negli slum. Il luogo dell’esercizio del potere si concentra, le contraddizioni si sovrappongono. Le guerre vengono messe in bottiglia e diventano operazioni di polizia mentre il ghisa diviene un poliziotto locale con tanto di pistola, manganello e spray urticante.
In questa sorta di caleidoscopio, può capitare che l’illusione si rompa e che pezzi di realtà si ricompongano. Capita che ci si incontri senza scoprirsi così pericolosi o che si scopra un conflitto fino ad ora sopito, che, messa una panchina dietro una rete tagliata, qualcuno ci vada a riposare o che chi, riuscito a scappare dal mondo, non venga respinto ma accolto e protetto.
Quello è il momento del ragionamento.
Le lunghe ombre del diritto ciclo di incontri e discussioni
* Introduzione
* “Sovranità e Polizia”: una discussione sullo stato di eccezione a partire dalla nuova traduzione del testo di Walter Benjamin “Per la critica della violenza”. Partecipano Massimiliano Tomba, curatore del libro, e Stefano Marchesoni.
Per una riflessione sul sistema penale
Vogliamo (ri)proporre una riflessione sulla “penalizzazione della società”. Espressione questa che porta in sé l’ambivalenza dei processi che si vogliono analizzare: le trasformazioni del diritto in quanto norma e l’estensione dello stesso su tutti gli ambiti sociali tanto da prefigurare una società sottoposta e governata dalla penalità. È del tutto evidente che questo processo ha lavorato precedentemente su una interiorizzazione culturale massificata che si costituisce come presupposto: l’identificazione del piano della giustizia penale con il piano della verità e del crimine come elemento centrale per la definizione delle politiche di governo.
La giustizia è lo strumento per la determinazione della verità. Laddove esista una potenziale ‘colpa’, o forma di disequilibrio, il tribunale è il luogo atto a ristabilire la corretta dinamica dei fatti e quindi a ripristinare una condizione di ordine imponendo le necessarie sanzioni.
Prima ancora di occuparci delle sanzioni va detto che questa affermazione è falsa. Il tribunale non ha né gli strumenti né la volontà di stabilire quella che è la verità dei fatti, la dinamica delle relazioni, il senso dell’operato della parti in causa. Il tribunale, al più, può stabilire con una imprevedibile dose di approssimazione il comportamento dei soggetti rispetto alla norma, collocarli e stabilire se e come l’abbiano infranta. Nella versione più ottimista l’attività della corte è quella di identificare delle similitudini tra diversi eventi delittuosi in modo da uniformare la pena e la sanzione e fare quindi in modo che queste non siano inique a loro volta.
Ma la norma stessa non ha alcuna ambizione a farsi verità. Però l’idea che ciò che è legale è giusto e viceversa si dimostra di grande efficacia e la ritroviamo sorprendentemente anche in ambiti antagonisti al sistema dominante. Questo deve farci riflettere sulla sua potenza comunicativa.
Altro concetto fondamentale su cui il processo di “penalizzazione della società” si basa è l’identificazione di un individuo, di una comunità e in alcuni casi dell’intera società con le “vittime” potenziali del crimine. Le politiche securitarie in atto da anni, in Italia, in America come in tutto il mondo occidentale, infatti, non solo determinano una mole non indifferente di produzioni di norme, ma definiscono e declinano i bisogni di una comunità. In questo senso il potere sprigiona la sua microfisica invadendo l’ambito delle relazioni e degli affetti che diventano suo oggetto specifico di intervento come Foucault ben descrive in Difendere la società, Ponte delle grazie, 1990.
D’altronde una razionalità securitaria si esplica su un immaginario in cui la società è vittima del terrorismo, una comunità è vittima di altre comunità e perfino un individuo è vittima di determinati comportamenti di altri individui. La segmentazione sociale è tra vittime e carnefici e induce un sentimento di identificazione con la vittima CONTRO il colpevole. Questo arriva a declinare i bisogni sociali: ho diritto di dormire rispetto agli schiamazzi, ho diritto di passeggiare senza vedere persone con bottiglie in mano o secchi ai semafori ecc. ecc. e legittima implicitamente, anche per chi non ne avrebbe né intenzione né desiderio, le politiche di repressione ed esclusione.
La conseguenza, quindi, è che la sfera del diritto si stia allargando in maniera impressionante e il numero e la qualità dei comportamenti normati aumenti di giorno in giorno. Questo avviene sia sul piano del diritto penale vero e proprio sia su quelli delle norme extra-giudiziarie (ordinanze comunali, patti territoriali…) che vengono propagandate come lo strumento più idoneo per affrontare le conflittualità sociali o individuali o anche solo per definire delle modalità di comportamento adeguate e sanzionare quelle inadeguate.
Il diritto sta diventando la modalità di approccio più comune alle forme di conflitto (sociale o personale, individuale o collettivo) che attraversano le nostre città. Una manifestazione operaia diventa ‘blocco stradale’, – ‘ingiuria e oltraggio” , l’esproprio di un grande magazzino diventa ‘rapina’…. Il fatto scompare dietro l’ombra della norma infranta. Chi e perché fosse lì a fermare il traffico, a bestemmiare, a prendere degli indumenti da un grande magazzino non è più un elemento su cui ragionare.
È facile in questo modo tendere a far rientrare negli ambiti del diritto i comportamenti che risultano ‘deviare’ dal luogo comune della ‘acquiescente normalità’ siano essi espressione di una consapevole alterità rispetto all’organizzazione sociale dominante o siano invece una inconsapevole espressione di incompatibilità con i modelli di vita ritenuti ‘leciti’.
Il diritto sempre più tende a porsi come regolatore dei comportamenti, delle intenzioni, delle personalità. Un caso smaccatamente evidente in questo senso è il reato di clandestinità che ‘norma’ una condizione di vita, una storia, più che un fatto specifico. Un clandestino che dorme, mentre dorme, sta compiendo il suo reato. I patti delle amministrazioni comunali raggiungono ambiti ancora esclusi dal diritto giuridico.
L’ingresso ai campi nomadi è regolato (con tanto di polizia all’ingresso) sulla base di un patto tra il comune e le persone che stanno nel campo che permette al personale all’ingresso di fare entrare o meno gli esterni nel campo. (dispositivi analoghi sono stati utilizzati nei campi dei terremotati aquilani nel periodo del G8). Le ordinanze comunali ci indicano, sotto la minaccia di sanzioni, come e dove mangiare i panini, darci i baci, sederci e ci fanno capire da che parte conviene stare.
Questa criminalizzazione delle relazioni non avviene in sordina ma anzi è ostentata, è essa stessa strumento di propaganda. Senza pudore seziona la società in parti arbitrariamente definite e trova la principale giustificazione e forza nell’essere prodotto della norma, che viene propagandato come uno tra i principali strumenti di definizione della verità.
Se nella guerra, emergenza per definizione, il ruolo di regolatore è specifico degli eserciti, nell’emergenza quotidiana e perenne questa funzione è delle forze di polizia, anzi, anche le azioni degli eserciti diventano azioni di polizia: il blocco delle navi aiuto alla Palestina da parte di Israele ne è un esempio.
In questo quadro emergenziale dove la politica ha affidato la sua funzione al diritto, la funzione politica viene fatta propria dalle forze di Polizia, assumendo così una funzione di mediazione e diventando “sovrana” nelle decisioni ovvero determinando quando e come intervenire. (tanto più la legge è pervasiva quanto più esercito e polizia sfuggono alla legge)
Lo scopo di questa riflessione è quello di verificare le sue stesse ipotesi, darne una connotazione più precisa e rigorosa, smontare (ove necessario) gli assunti che ne stanno alla base e riflettere sui loro aspetti indotti ma per niente trascurabili.
Ci sembra, inoltre che la società autoritaria sezionata dalla regola tende ad auto-riprodursi e il diritto ne diviene efficiente sistema di propaganda per un efferato immaginario sanzionatorio, immaginario dal quale non si sottraggono figure a la page come Saviano e costringe il confronto tra chi vuole mandare in galera Berlusconi, chi gli extracomunitari, chi Battisti, chi altri ancora, in ogni caso tutti dentro un orizzonte rigorosamente penale. Sottraiamoci
Su questi punti l’idea è quella di articolare una serie di incontri, in particolare ma non necessariamente con la presentazione di testi, per affinare il ragionamento.